Venerdì 18 marzo ero al Festival della Crescita a Roma. Sono stata invitata a presentare una Jam Session romana nel panel Sei Gradi di Crescita. Ho scoperto un angolo di Roma che in tanti anni di transiti per la Stazione Termini non avevo mai esplorato. Al primo piano la fuga di archi che costeggia il lato di Via Giolitti possiede una bellezza razionalista che non ha niente a che vedere con il sistema di trasporti italiano. Architettura e ferrovie vivono separati in casa. Avendo un po’ di tempo a disposizione, sono andata a sentire il Quarto Convivio, dedicato al Femminile Orientato alla Crescita. Ho seguito con molto interesse l‘intervento di Paola Profeta, Professore Associato di Scienza delle Finanze alla Bocconi. Mentre scarabocchiavo una fitta serie di appunti, Profeta snocciolava in modo preciso e serrato dati disastrosi sul gender gap in Italia. Un’idea ce l’avevo già, ma le cifre hanno tracciato una situazione agghiacciante.
Per le opportunità economiche, l’Italia è al 111° posto su 145 paesi. Islanda, Finlandia, Norvegia e Svezia hanno colmato l’80% del gender gap (adesso venitemi a dire “sì, però hanno un tasso di suicidi molto alto”). Nel mondo il gender gap è stato colmato al 96% per la salute, 95% per l’istruzione, 59% per le risorse economiche, 23% per la politica. In Italia il gap nell’economia è peggiore di quello nella politica: significa che ci sono più donne in Parlamento di quante ce ne siano nei consigli di amministrazione, o in posti di comando nelle aziende. Il fatto è, spiega Profeta, che nei paesi dove c’è più uguaglianza, c’è anche più crescita. Quindi il fattore di uguaglianza di genere non è solo bello, buono e giusto, è anche determinante nello sviluppo economico e sociale. Infatti nel 2015 l’IFM ha stimato che l’Italia avrebbe una crescita del 15% se raggiungesse l’uguaglianza di genere.
Siamo il paese con la percentuale di laureati tra le più basse d’Europa, solo il 20%, ma ci sono più laureate donne che uomini. Però il tasso di occupazione femminile è fermo al 47% da dieci anni (con una forbice dal 56 al 30% tra Nord e Sud). In Europa solo Malta sta peggio di noi (ma almeno là ci sono i matrimoni gay). Verso la fine del suo intervento, Paola Profeta ha mostrato una slide su pregiudizi e stereotipi culturali. Alla domanda “Un bambino in età scolare soffre se la madre lavora?”, la media europea di risposte affermative è 56%: in Svezia scende al 17% della donne e al 25% degli uomini, in Italia schizza al 76% uomini e, grande sgomento, al 74% donne. Almeno sui preconcetti il gender gap è nullo. Che i padri siano bravi come le madri lo pensa il 76% degli europei, ma solo il 18% degli italiani. Questo è quanto.
Stamattina sono uscita per andare alla Stazione Termini, ma solo per prendere un treno. Verso le 11 mi sono fermata a un semaforo. Sulle strisce mi è sfilata davanti una famigliola: padre, madre e bimba di due-tre anni. Probabilmente se fosse stata maschio avrebbe avuto una bici. Invece la bimba spingeva un mini passeggino rosa con dentro una bambola. Ho provato pena per quella bimba che anziché essere libera di muoversi, correre ed esplorare, trasportava il suo fardello, e per giunta contenta di farlo. Non dico che un giorno non diventerà lo stesso medico, avvocata, scienziata, imprenditrice, ma i suoi genitori le stanno servendo una vocazione precotta. Mettendole davanti quel passeggino rosa che lei spinge soddisfatta, le fanno credere che è bello, che è quello che ci si aspetta da lei e che lei stessa desidera. Che inganno crudele, e che beffa alla società.
Quel 15% di crescita, infatti, sarebbe a portata di mano se i genitori lasciassero alle figlie femmine le mani e le gambe libere, anziché legargliele con un giocattolo-trappola. Vorrei vedere tutte le bambine camminare leggere, con le mani pronte per pararsi le cadute, rialzarsi e ricominciare a correre e giocare, senza spingere infidi fardelli rosa: stampelle di genere che le rendono zoppe non appena cominciano a camminare.
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