Un meccanismo due volte spiazzante, un cortocircuito doppio: quando tra 1970 e 1971 Ruth White lavora su commissione della EMI per Short Circuits, non sta solo mandando in tilt le consuetudini del sistema musicale di allora – rileggendo alcuni classici della musica “colta” con il Moog e altri strumenti elettronici analogici. Insieme alle indimenticate (soprattutto negli ultimi tempi…) Bebe Barron, Daphne Oram, Delia Derbyshire, Wendy Carlos, e poi Pauline Oliveros, Suzanne Ciani, Laurie Spiegel e una manciata di altre, White fa parte del plotone di “Mothers of Invention” che tra anni Cinquanta e Settanta apporteranno scoperte e intuizioni fondamentali per la musica elettronica, segnando in maniera tanto profonda quanto silenziosa un ambito tra arte e ricerca scientifica dominato – almeno in apparenza – dagli uomini.
Se solo oggi, e finalmente, la rete pullula di tributi verso queste “pioniere dell’elettronica”, è chiaro che nel 1971 leggere sul retro di un disco “Ruth White è considerata uno dei nomi di riferimento eccellenti nel campo della ‘nuova musica’” non dovesse essere esattamente all’ordine del giorno. Dopo una formazione accademica, incursioni in ambito etnomusicologico con i Folk Dances from Round the World e un’iniziale reticenza verso le prime sperimentazioni elettroniche di quegli anni, lo studio della compositrice e musicista di Pittsburgh traccia un percorso coerente dalla musica classica, attraverso l’elettroacustica, fino all’elettronica sperimentale (come la Ciani, talvolta prestata anche alla TV). Lo snodo sta tutto nella ricerca di nuove tecniche di manipolazione del “rumore”, nell’espansione dei linguaggi sonori, nel rinnovamento del sistema musicale.
La visione fuori dagli schemi e le connessioni tra ambiti artistici diversi di Ruth White sta già tutta nel nerissimo Flowers of Evil (l’elettroacustica applicata ai testi del Baudelaire di “Les fleurs du mal”), ma in Short Circuits la rivoluzione si fa quasi provocazione: il pianoforte di Satie, i solfeggi barocchi di Bach, il clavicembalo danzante di Scarlatti e la polka di Shostakovich si trasformano in composizioni dai toni fra il giocoso e l’alieno, dove il passato incontra il futuro in una rivisitazione come quella di The Flight of the Bumblebee di Rimsky-Korsakov, che più dell’interludio di un’opera di fine ‘800, pare la colonna sonora di un video gioco di qualche decennio dopo. Ed eccolo anche in copertina, il calabrone: sotto forma di illuminazione, di lampadina che spicca il volo incontrando l’elettricità nella quadricromia a base di nero e colori primari sulla stampa di Roland Young.
Chiara Colli è nata nel 1983, è la responsabile della rubrica Musica di Edizioni Zero, scrive sul Mucchio e conduce la trasmissione Roadrunner su Radio Città Futura. Nuota tutte le mattine.
Gli altri album del 1971.
Altre compositrici che hanno usato il Moog.
Ascolta l’intero album di Ruth White: