La Musica come Educazione Sentimentale
All’inizio di ottobre ho partecipato a una giornata di formazione per insegnanti a Pordenone. Mi è stato chiesto un contributo sul tema dell’abbandono. In un primo momento sono andata fuori strada perché ho pensato alle break up songs, canzoni da fine di un amore. Ho pensato che fosse un corso per insegnare ai bambini e ai ragazzi l’educazione sentimentale, che essere abbandonati è molto comune nella vita e non si reagisce in modo punitivo e violento. Ho inquadrato il tema nella cornice dei rapporti di genere. Invece era l’abbandono all’esperienza artistica, un abbandono che richiede “passività, calarsi nel presente, godendo dell’attimo e delle relazioni che ci circondano. Richiede fiducia, consegna e affidamento: non c’è niente di più pieno, meno solo e movimentato di un cuore abbandonato all’arte. Fare esperienza del teatro e dell’arte consente ai bambini e ai ragazzi di conoscere l’abbandono come attitudine al sentire, allo stare in ascolto, di sé e del mondo”.
Sono tutti concetti che funzionano perfettamente anche nell’altro contesto: accettare l’abbandono, imparare a vivere una condizione di passività, di sentimenti intensi (dolorosi), avere fiducia in se stessi (passerà, staremo meglio) e nell’altro rispettando la sua decisione, mettersi in ascolto di sé e del mondo, vivere il presente, vivere l’esperienza.
Forse è questo che implicitamente, in modo traslato, le break up songs e l’arte ci possono insegnare. Dando per scontato che la musica è più fruibile di altre forme d’arte, forse l’abbandono alla musica ci può insegnare in modo simbolico che è necessario elaborare, che è importante vivere e accettare l’esperienza che incontriamo, ma soprattutto essere presenti, consapevoli. Per questo ai bambini bisognerebbe insegnare anche la meditazione. Che cos’è la vita se non imparare ad accettare la transitorietà, ovvero che un rapporto amoroso – come qualsiasi altra esperienza terrena – può darci momenti di felicità e poi non darceli più?
Le cose finiscono come finisce una canzone, un disco, un concerto. Certo, un brano musicale possiamo riascoltarlo all’infinito, ma non è detto che possa darci sempre le stesse emozioni. Arriva il giorno in cui ti rendi conto che quel disco senza il quale non potevi vivere non significa più tanto per te perché sei cambiata.
L’abbandono della Musica
Sarei ipocrita se dicessi che i dischi su cui mi sono formata continuano a darmi le stesse emozioni, ma c’è perfino di peggio, e questo è un altro aspetto dell’abbandono: il fatto che dopo aver costruito una scaffalatura grande quanto una parete e averla riempita di cd, da circa dieci anni quei cd non li tocco più, sono diventati un ingombro, non è più quello il mio modo di ascoltare la musica. Questo è un aspetto dell’abbandono della musica, un discorso molto personale, di indagine profonda e dolorosa su cui tornerò nei prossimi post. Tornando al tema della giornata di Pordenone, tra le indicazioni ho trovato anche: “Lo scopo per noi è aprire finestre e dare spunti di riflessione, indicare un percorso che possa prevedere un approfondimento individuale. Mettere dei semi che possano far nascere nuovi interessi e nuovi percorsi”.
L’esperienza di Sei Gradi a Radio3
Questa invece assomiglia alla missione di Sei Gradi, il programma che da dieci anni conduco a Radio3. Va in onda alle 6 del pomeriggio e sono 45 minuti in cui usando come canovaccio la teoria dei sei gradi di separazione (una teoria sociologica nata circa un secolo fa) proponiamo 7 ascolti il più diversi possibile, raccontando storie e usando pretesti per passare da un brano all’altro con cambi di genere ed epoca anche molto drastici, radicali, sorprendenti. Messiaen e Tears for Fears legati dalla voce di Renée Fleming, Schubert e Cody Chesnutt nella stessa colonna sonora. Scalette che partono da Bach e finiscono con Beck… Dieci anni fa Sei Gradi era scandaloso, oltraggioso, rivoluzionario perché metteva nello stesso contenitore Mozart e gli ABBA, Charpentier e Aphex Twin, Luigi Nono e Bob Marley. Oggi spero che sia diventato divertente e sorprendente.
Sei Gradi è esattamente il tipo di programma che richiede abbandono da parte dell’ascoltatore: un abbandono che, come nella citazione iniziale, chiede fiducia, consegna e affidamento. Se l’ascoltatore non si fida di noi, se pretende il purismo, il programma colto di musica alta spiegata minuziosamente, è meglio se spegne la radio. Se invece si rende disponibile ad ascoltare altro, l’Altro, accettando anche un diverso tipo di discorso, potrebbe fare delle belle scoperte. Noi raccontiamo, mettiamo insieme la musica con cura e passione, proponiamo. Poi sta a chi ascolta approfondire, ascoltare l’intero album, cercarsi gli altri dischi dello stesso musicista, cercare altre versioni.
Credo che sia più facile così innamorarsi della musica. (continua)