E’ una questione di metodo, inapplicabile e fallimentare in mille altre circostanze cruciali nella vita, che nel viaggiare risulta invece di facile e piacevole attuazione. Le trilogie danno un senso di soddisfazione, come se si portasse a termine un’opera di rilievo, di un certo peso. Quindi torno nel Baltico, non più in autunno prima che cali la cappa del rigore glaciale, neanche in primavera per il disgelo. Ho dovuto aspettare quasi un anno per andare a Riga e parto giusto in tempo per le celebrazioni del solstizio.
Comincia tutto molto bene: per una volta non finisco sull’ala ma davanti all’uscita di emergenza, con un sacco di spazio per le gambe. Quando arrivo, tutto si mette improvvisamente male: dal nastro trasportatore recupero una valigia squarciata (le leggendarie belle maniere del personale degli Aeroporti di Roma) e provo un senso di lieve shock. Sono passati quattro mesi e ancora sto litigando con il customer service dell’Air Baltic a cui continuo ad inoltrare via email dichiarazioni, foto, documenti: un volume di scartoffie digitali che sa tanto di implacabile burocrazia sovietica. La Lettonia però è entrata nella UE dieci anni fa e da gennaio scorso la moneta è l’euro (anche se a giugno 2014 wikipedia ancora non lo sapeva). L’anima è più baltica-scandinava che russa e infatti quest’anno Riga è Capitale Europea della Cultura (riga2014.org/eng/) insieme alla svedese Umeå.
Questo è un popolo di cori e direttori d’orchestra, di compositori colti con una doppia vita rock. Qui sono nati Mihail Barishnikov, Mischa Maisky, Gidon Kremer, Mariss Jansons, Andris Nelsons. Mark Rothko non era nato qui, ma lungo lo stesso fiume che attraversa la capitale. So poco di Riga quando arrivo. Quelle che chiamiamo Repubbliche Baltiche in realtà hanno molto poco in comune a parte le dominazioni tedesche, svedesi, polacche, russo-sovietiche. Me l’aspetto molto bella e in quattro giorni di pioggia e freddo insoliti per il mese di giugno, quello che mi impressiona di più è l’architettura e l’impianto di grande capitale, con un centro storico assai maneggevole ma immensi quartieri che si sembrano estendersi all’infinito. La Lettonia è grande due volte il Belgio e ha solo due milioni di abitanti, di cui 700mila vivono qui. Come capitale Riga sembra un francobollo più grande della lettera che si vuole affrancare.
Ancora sotto shock, dopo un paio di file nei posti sbagliati, riesco a fare denuncia per il trolley martoriato e mi avvio un po’ mesta verso l’autobus numero 22 che con 80 centesimi dall’aeroporto mi porta nella Città Vecchia. Lungo il percorso sfilano palazzi di edilizia popolare sovietica e affascinanti case in legno, la maggior parte fatiscenti. Poi il paesaggio si fa più contemporaneo, attraversiamo la Daugava e scendo alla fermata ”11 novembra krastmala”. L’albergo è in una viuzza del centro storico. Non mi funziona la connessione internet (colpa del mio mac obsoleto) e come da copione ho la stanza più piccola e buia di tutto l’albergo, quella da commesso viaggiatore. Abituata a viaggiare da sola e a superare momenti vacillanti, mi attengo al programma e per rompere il ghiaccio mangio qualcosa, generalmente evito i ristoranti degli alberghi ma stavolta transigo. Poi risalgo su un autobus per andare a Mežaparks giusto in tempo per le celebrazioni di Ligo, la festa del solstizio. Conto molto sui riti pagani di rigenerazione e rinascita per raddrizzare un inizio sbilenco. Non ho ancora scoperto il buco nei pantaloni e il taglio sulla scarpa in corrispondenza dello squarcio nella valigia. Jani, aiutami tu.
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