Quando in lettone le vocali sono lunghe, sono proprio lunghe e bisogna raddoppiarle. Altre cose accadono dopo certe consonanti: ad esempio, si scrive Līgo e si pronuncia pressappoco “ligua”. Līgo, o Jani, è la festa più importante: celebra il sole e la notte più breve dell’anno. La città è letteralmente chiusa per solstizio – musei, ristoranti, chiese, perfino il mercato che è aperto negli altri 364 giorni. Le città si svuotano, i lettoni vanno in campagna, accendono falò intorno ai quali ballano, bevono birra, mangiano formaggio ai semi di cumino, cantano canzoni interminabili che finiscono tutte con “Līgo, Līgo …” Ce ne sono circa 4.500, più le altre improvvisate al momento:
Buonasera, Madre di Jānis, ci stavi aspettando?
Līgo, līgo…
Hai fatto il formaggio tenero? Hai fatto fermentare una buona birra?
Līgo, līgo…
La Madre di Jānis è preoccupata.
Līgo, līgo…
Il formaggio che ha fatto è troppo piccolo.
Līgo, līgo…
I lettoni hanno un sacco di tempo in un giorno che ha quasi 24 ore di luce. Uomini e donne si mettono in testa dei piccoli capolavori di arte floreale: le corone delle figlie di Jānis sono intrecciate con fiori di campo, quelle dei figli con foglie di quercia. A parte il nome, Jānis non ha niente a che vedere con S. Giovanni: le origini della festa sono molto più antiche della cristianizzazione avvenuta nel XIII secolo ad opera dei crociati germanici. Per questo il culto di Jānis celebra la fertilità con riti dalle chiare implicazioni sessuali. Si va nei boschi a cercare un magico fiore di felce che secondo la tradizione fiorisce solo nella notte tra il 23 e il 24 giugno: chi lo trova, avrà una grande rivelazione spirituale. A dirla tutta, la felce in realtà non fiorisce. Per cui un invito ad andare in coppia può rivelarsi un diversivo romantico complici la natura, la birra e il grande festeggiato.
A Riga restano i turisti. Inutile cercare di andare a mangiare in uno dei ristoranti che avete messo nella lista perché tanto è chiuso. Bisogna rassegnarsi a sfamarsi dove è aperto cercando di evitare i luoghi più platealmente turistici. Cercando il Fazenda sono finita in un posto per soli lettoni e ho mangiato due tartine accompagnate da una tazza di caffè per circa un euro e mezzo. Ho placato il buco nello stomaco ma appena uscita ho scoperto quello nei pantaloni. Per fortuna non pioveva così ho ripreso a camminare una “iela” (via, strada) e un “bulvaris” (viale) dopo l’altro, passando per parchi e giardini, cercando di venire a capo di questo enorme francobollo.
I trasporti pubblici sono gratis nei giorni di Jani: adoro il tram numero 11 nella versione vintage spartana e in quella supermoderna con i monitor, il gps, il display con i nomi delle fermate, la voce nell’altoparlante che ripete i nomi delle fermate (e io con lui, facendo pratica di lettone), la macchinetta per i biglietti che accetta bancomat e carte di credito. Penso agli autobus di Roma: sporchi, senza riscaldamento e aria condizionata, dove ci piove dentro, con le macchinette a moneta che non danno resto, chiuse con lucchettoni che fanno un fracasso orribile, e gli autisti che sfrecciano e frenano per far fuori il maggior numero possibile di passeggeri. Mi sento umiliata.
A Mežaparks, seduta sulla scalinata dove di solito si dispongono i cori per il festival della canzone, ho visto Lec Saulīte, Sorgi bel sole, una grande produzione di Riga 2014 che racconta le tradizioni del solstizio con centinaia di danzatori, musicisti, cantanti. Non c’è traduzione per gli apligosana, le canzoni sfottò che diventano sempre più pesanti dopo mezzanotte, mentre abbastanza chiaro è il significato del correre nudi per bagnarsi nella rugiada del mattino: lo scopo è mantenersi belli, sani e forti.
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