Alla Valletta non esisteva il tempo. Non esisteva una storia, ma la storia tutta insieme. Doveva esserci una passione aliena nell’isola di Malta, dove tutta la storia era presente simultaneamente, dove tutte le strade pullulavano di fantasmi. (Thomas Pynchon, V)
Anche se vieni da Roma, quando entri nella cocattedrale di S. Giovanni resti senza fiato. Dall’esterno mai immagineresti tutto quell’oro, il tripudio degli interni, lo sfarzo delle decorazioni, il tanto e di più ovunque. Quando ti riprendi dalle vertigini barocche, vai nell’Oratorio (gettando uno sguardo a sinistra prima di entrare, per cogliere lo scorcio di una splendida fuga di archi), e di nuovo ti prendi un cazzotto nello stomaco e una nuova ebbrezza emotivo-cerebrale. Perché davanti hai la più grande tela di Caravaggio, la Decollazione di S. Giovanni Battista, e quando superata l’estasi reverenziale ti volti, scopri che alle spalle avevi San Girolamo Scrivente.
Per sperimentare la verticalità immobile del tempo a Valletta, usciti dalla cocattedrale passare dal XVII al XXI è questione di poche centinaia di metri. L’appuntamento è all’angolo fra Old Theatre Street e Strait Street, davanti a un bagno pubblico. Trenta centesimi per fare pipì nell’opera d’arte di Norbert Attard e Chris Briffa. Bagni di acciaio inossidabile con specchi a forma di sipario, televisori, un’installazione audiovisiva, un neon dedicato a Tracey Emin, e un omaggio a V di Thomas Pynchon. V che nel romanzo sta anche per Valletta.
La Valletta di Pynchon è quella delle risse tra marinai britannici e statunitensi, del concentramento di truppe dopo la crisi di Suez, con i bombardieri che sfrecciano in cielo diretti in Egitto, mentre per le strade le bancarelle vendono ninnoli, ciondoli portafortuna e merletti maltesi. Il cuore della città, per tutti i marinai come lui negli anni ’50, era la Strada Stretta,The Gut, Il Budello “intasato di gente: militari, marinai dei mercantili greci, italiani e nordafricani; attori di secondo piano, lustrascarpe, protettori, venditori ambulanti di chincaglierie, dolci e foto pornografiche – scrive Pynchon – Le deformità topografiche di quella strada erano tali che si aveva l’impressione di camminare attraverso una serie di palcoscenici da music hall, ognuno con una scenografia e una compagnia di attori, palchi che offrono tutti uno spettacolo di intrattenimento popolare.
Un mini distretto a luci rosse, con bar, locali, sale da ballo, su cui cala il sipario quando la flotta britannica lascia l’isola alla fine degli anni ‘70. Una strada che sarebbe piaciuta molto anche a Caravaggio, per restare nella dimensione sincronica maltese, e dove il tempo, appunto, si è letteralmente fermato: molte porte sono state chiuse più di trent’anni fa e dentro tutto è rimasto com’era. Alcune sono state riaperte da poco, altre lo saranno nei prossimi mesi e anni perché la Strada Stretta sta tornando in vita.
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