Se prima pensavo che gli svizzeri in fondo non esistono, adesso penso che la prova della loro esistenza è il sadismo con cui permettono ai non svizzeri di assistere allo scorrere della loro vita quotidiana. Che si svolge all’insegna di un’efficienza asettica e implacabile nella sua scontatezza. Un calcio nella pancia durante una colica intestinale farebbe meno male. Non è il numero sopra la media di borse Vuitton che circolano in Banhofstrasse: sono i tram. Il tram numero 4 è stupendo. Tutti i tram di Zurigo lo sono. Sempre vuoti e puntuali. La voce annuncia le stazioni, i cui nomi scorrono sul monitor che indica le coincidenza con altri tram e mezzi di trasporto. Se questi sono treni, indica anche il binario. Ho detto “anche”? Volevo dire “perfino”.
Quando il 4 supera Bellevue e l’Opera, scendo a Mainaustrasse dove al numero 24 c’è il Lady’s First, un hotel che se ne sta defilato fuori dal centro storico ma a poche decine di metri dal lago, sulla Riva Dorata, per giunta, quella dove batte più il sole, dove crescono i vigneti che producono il bianco e dove stanno le ville più lussuose.
Alla metà degli anni 90, quando La Crisi non incombeva sul mondo e tantomeno sulla ridente Svizzera, quando la bancarotta della Swiss Air era ancora in là da venire, otto professioniste decisero di aprire un albergo per sole donne in una ex pensione femminile, in un elegante edificio del XIX secolo. Chiesero all’architetto Pia Schmid di ristrutturarlo, cosa che fece lasciandone l’atmosfera d’epoca, spartana, sobria ed elegante (come il parquet scricchiolante e le scale). Poi arrivarono gli anni 2000, la crisi e la bancarotta della Swiss Air. L’hotel si è visto costretto ad aprire anche agli uomini, e alle famiglie delle donne. L’impresa continua a sostenere le donne svantaggiate, disoccupate e con varie disabilità, offrendo loro lavoro part time.
C’è una fettuccia di rose garden al piano terra (in stile zurighese, che consiste nel ritagliare spazi verdi, aiuole e giardinetti dove si può, anche sui tetti o nei fazzoletti di terra tra la porta d’ingresso e la strada), un caminetto nella lounge, un vassoio sempre pieno di mele rosse selvatiche, da cogliere al volo prima di salire in camera, una terrazza-solarium, un intero piano spa dove farsi massaggiare dalla punta dei capelli a quella dei piedi (a prezzi da businesswoman svizzera). La colazione è eccellente (pane artigianale, marmellate, croissant, yogurt, semi, noci, cibi salati), e la mia stanza era enorme con un sofà, tv e dock per iphone.
Ma c’è stato un extra, un fuori programma sorprendente, in confronto al quale una escapada deluxe nella spa sarebbe stata triviale e misera cosa. Il secondo giorno sono rientrata sfinita da una gita forzata a Rapperswill, pittoresco paesino nel Cantone San Gallo, affacciato sul lago e famoso per il giardino di rose. Che sarebbe stupendo, se le rose fossero in fiore. Ma è il 1° maggio, piove, fa quasi freddo e il roseto è una distesa di arbusti monchi che stanno ai petali di rose come una crisalide sta a una Attacus Atlas.
Torno in albergo umidiccia, faccio un tè, mordo una mela e mi stendo sul divanetto a leggere l’interminabile Woman in White di Wilkie Collins. A dire il vero sbocconcello anche fette biscottate e mininutella trafugate al buffet della colazione. Dalla stanza accanto arrivano note. Sembra qualcuno che sta provando, ma potrebbe anche essere un disco. Non riconosco la musica. Ci sono troppi strumenti per essere qualcuno che suona davvero. Sarà la tv? Che gioia.
Quando esco dalla stanza incrocio un signore frettoloso che farfuglia: “I hope we didn’t disturb you too much.”
“Oh it was you then! You didn’t disturb me at all, it was beautiful. Thank you!”
“I am glad you enjoyed it.”
“Do you have a concert here in Zuerich?”
“One? We have four!”
“What are you playing?”
“Mozart!”, che domanda!, risponde infilandosi nell’ascensore. “Come and see us!”
Mi ricorda Willy Wonka, invece era Rainer Schmidt, secondo violino del Quartetto Hagen. Vado a sentirli alla Tonhalle, riconosco i brani: pensavo fosse un’orchestra, era un quartetto d’archi con un clarinettista. Mozart era disperato quando scrisse il K581 (“Il destino mi è purtroppo così avverso – ma qui a Vienna soltanto – da non consentirmi di guadagnare nulla, con tutta la migliore volontà”), ma la musica è sensuale, morbida, dolce, serena. Arrivava come un balsamo celestiale perfino con una parete in mezzo.
Il giorno dopo li incontro a colazione, assonnati, laconici, visibilmente stanchi per il doppio concerto del giorno prima. Camicia fuori dai jeans, sandali, il cucchiaino che rompe il guscio dell’uovo sodo, i denti che affondano nel pane burro e marmellata, la tazza di latte e muesli, il caffè fumante, i resti di uova strapazzate e bacon nel piatto.
Ma il concerto è stato un trionfo, si capiva già dalla prova.
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