Tarda mattinata di domenica, grigia e piovigginosa come i giorni precedenti. Di ritorno dalla Kunsthaus, scendo a Piazza Bellevue per prendere il tram che mi riporta in albergo dove ho lasciato il bagaglio. Ho ancora un museo da vedere prima di partire e in mezzo, per fortuna, il pranzo. La città è semivuota, deve essere sempre così la domenica, tantopiù con il ponte del primo maggio. Aleggia un’atmosfera vagamente desolata, la risultante del grigiore e dell’umidità sommata ai postumi del fine settimana lungo, e i negozi chiusi, naturalmente. Ad aspettare il tram sotto la pensilina c’è anche un signore alto, sui 55, ben piazzato, ma con i polpacci e le caviglie magre. La testa rasata, un giubbotto, una gonna a sigaretta e ai piedi scarpe rosse con zeppa. Non porta i collant e ha l’aria ammaccata.
All’ingresso da Hiltl c’è un mucchio disordinato di ombrelli colorati. Dentro è pieno eppure non c’è calca, né fila per avere un tavolo. Il buffet è affollato, ma nessuno va di fretta, a parte me, ma è una forma mentis romano-esistenziale. Siccome però sono a Zurigo dove tutto è a pochi minuti di tram da tutto, mi rilasso. Lascio il trolley all’uomo con la kippah, trovo un tavolo, prendo un piatto grande e vado al gran buffet.
Hiltl è uno di quei posti che ti riconciliano con il mondo, come Tiffany’s per Holly Golightly. É il primo ristorante vegetariano della storia (Vegetarische seit 1898). Tutto quello che devi avere è qualche franco, minimo 5 per una tazza di caffè, (più o meno il prezzo del formanumero telefonico in argento a 6 dollari e 75 compresa la tassa federale, l’oggetto di puro capriccio del film), meglio una cinquantina per un pranzo completo. E’ sempre aperto, anche a Natale, dalla mattina alla notte. Hiltl c’è sempre quando ne hai bisogno, non solo per sfamarti, ma anche per insegnarti a cucinare o per riunirti con i colleghi. Il ventre è la cucina enorme nel seminterrato che pullula come un formicaio, dove si trasformano le materie prime. Al piano terra c’è la grande sala, il bar e la stanza di assemblaggio dei piatti, al piano di sopra il ristorante. Anche nelle ore di punta, quando il locale è pieno, si trova sempre posto e la calca non è stressante. Il focolare attorno a cui tutti gravitano è il grande buffet: 100 piatti vegetariani e vegani da tutto il mondo. Tutto questo perché?
Perché nel 1897 Ambrosius Hiltl, un giovane sarto itinerante di origini bavaresi, a vent’anni arriva a Zurigo e quattro anni dopo si ammala di artrite reumatoide. Per fortuna in città aveva aperto la Casa del Vegetariano e il Caffè dell’Astemio, locale che, come è facile intuire, all’epoca era votato al suicidio commerciale. I vegetariani, e ancora di più gli astemi, erano considerati dei freak, derisi più che compatiti. Il medico mette a dieta Ambrosius: niente più carne. Ne sapeva già qualcosa di ph acido-basico. Lui diventa cliente fisso della Casa del Vegetariano e le sue condizioni di salute migliorano drasticamente. Così quando nel 1903 il ristorante cerca un nuovo manager, lui abbandona la sartoria e si butta a capofitto nella ristorazione.
Ambrosius visse fino all’età di 92 anni, robusto, vitale, gioviale, amante delle belle cose, cosmopoplita. Un po’ come Paul McCartney, uno dei clienti del suo ristorante, che oggi è gestito dal pronipote Rolf, Hiltl di quarta generazione. E’ un bel posto anche da guardare. Vedo passare grandi bicchieri fumanti con dentro una ricca vegetazione. Ma oltre agli infusi, i succhi, i frullati, i lassi, si servono anche vino e alcolici. Vegetarische sì, astemi non più. Mi alzo da tavola satolla e rincuorata, ma un po’ a malincuore. La domenica le sale riunioni potrebbero diventare salottini per un riposino post-prandiale. Invece mi tocca di nuovo la pioggia. Prossima tappa, a pochi minuti di tram: Rietberg Museum.
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