Mi piace camminare per il Casco Viejo di Bilbao e rifare amicizia con le Siete Calles e le loro traverse, dove perdo i miei negozi preferiti ma ne trovo sempre altri. Non è facile orientarmi in questa città che sta tutta sotto al fiume tranne il Casco Viejo che sta sopra, sulla destra. Guardo la pianta e non trovo un centro, a meno che non voglia collocarlo in Plaza Moyua, a metà della Gran Via. A nord c’è il Guggenheim, a ovest l’Euskalduna e il San Mamès tempio del’Athletic, a est attraversando il fiume il Casco Viejo e a sud l’Alhondiga dove sono ora, sulla terrazza, con una bomba di calorie analcoliche davanti a me e questa cartina che dopo tre anni ancora cerco di imprimermi nella testa.
Ho passato un’oretta scorrendo le incisioni di Goya al Museo di Belle Arti: Caprichos, Desastres, Tauromaquia y Disparates. Si respira a stento – stiamo sui 36° – e dentro la sala a 20° insieme alle stampe non si stava male. Al Guggenheim c’è una personale di David Hockney. Le tele immense dipinte con l’iPad mi sembrano risibili e i quadri americani non mi affascinano. Invece i paesaggi dello Yorkshire virati sullo psichedelico hanno un’anima: all’epoca Hockney faceva il pendolare tra la casa della madre e quella di un suo amico morente. Ho sentito una fitta di nostalgia dell’Inghilterra, come di un vecchio amore alla cui lontananza ci si è abituati per la forza delle circostanze e del tempo. Bello anche il video con le otto telecamere montate su una griglia, che riflettono il paesaggio come un mosaico mobile in perpetuo cambiamento e sfasamento. Come la realtà.(*)
Il “problema” del Guggenheim è che la struttura è talmente forte da far impallidire qualsiasi cosa si esponga all’interno, a parte le sculture di Richard Serra. E’ un luna park per adulti, ogni volta che ci vai lo vedi in modo diverso per come riflette la luce, la stagione, il tuo stato d’animo. Scopri sempre qualcosa di nuovo, dentro e fuori, e non smetti di fotografarlo. E’ un po’ la Marilyn Monroe dei musei, anche se chiamarlo museo suona incongruente. E’ un’astronave che spadroneggia sul lungofiume del Nervion, ha un carattere borioso molto bilbaino, in verità: non teme l’esagerazione e gli piace essere al centro dell’attenzione. E’ un arredo urbano di lusso che rende ospitali come un salotto le strade circostanti, dove si passeggia, si chiacchiera, si fa jogging o si va in bici. Un’area irriconoscibile rispetto ad appena un decennio fa. Nel 2007 sul Guardian J. G. Ballard lo definì “il più grande giocattolo del mondo”:
Una fontana di luce e di allegria che promette tutto il divertimento di un circo itinerante che monta le tende accanto a uno scalo ferroviario in disuso in una diroccata città industriale. E’ a suo modo un capolavoro per autodefinizione, e il fatto che sia una galleria d’arte è quasi del tutto irrilevante. Infatti chi visita il Guggenheim di Bilbao può anche togliersi dalla testa l’idea di entrarci dentro. Restate fuori, a una distanza di circa cento metri, e assorbirete la sua audacia, la magia, il senso dell’umorismo e la genialità. E il suo fascino puerilizzante. E’ la Disneyland del dottorato in scienze della comunicazione… lo spettacolo visivo arresta qualsiasi altro processo mentale. Cascate di luce dorata offuscano il sole, emanate da un ammasso di enormi forme di titanio ammucchiate una sull’altra, un po’ incidente ferroviario un po’ esplosione in un caveau di lingotti. Se la bomba atomica all’interno di Fort Knox fosse esplosa in faccia a James Bond alla fine di Goldfinger, il risultato sarebbe stato molto simile al Guggenheim di Bilbao.
Ballard scriveva nel 2007, quando l’intervento di riqualificazione urbana nell’area del museo non era ancora stato completato: non c’era il tramvia che scivola su una corsia d’erba né i giardini e la esplanada dove si tengono concerti. C’erano invece le rovine industriali dell’era pre-Guggenheim, che è stato costruito dove prima c’era una fabbrica abbandonata: l’area adiacente era un deposito di container e il terminal della linea ferroviaria che li trasportava (lo scalo ferroviario in disuso in una diroccata città industriale).
Oggi passeggiando su quel lungofiume pulitissimo ed elegante adornato dallo Zubizuri di Calatrava (in euskera significa ponte bianco), è impossibile immaginare che pochi decenni fa in quegli stessi luoghi attraccavano navi e battelli. Il grande repulisti iniziato con l’alluvione disastrosa del 1980 ha innescato un processo di totale e autentica rigenerazione urbana ed economica. Come prima cosa hanno pulito il fiume: 1 miliardo di euro per trasformare il Nervion da una fogna a cielo aperto a un fiume balneabile, con 170 km di tubature e il 100% delle acque dell’area metropolitana depurate. Capite perché gli 84 milioni di euro del Guggenheim non sono niente, in confronto. Poi hanno spostato il porto dal centro della città alla foce del fiume. E infine hanno costruito una metro spettacolare: anche in questo caso, come per il Gugg, si parla tanto dei fosteritos (i sinuosi ingressi in vetro disegnati dall’architetto inglese Norman Foster) e si tirano in ballo le archistar, come se si trattasse di un’operazione di maquillage, mentre di fatto la metro di Bilbao è un’opera all’avanguardia. Sono solo 2 linee, 41 km, 39 stazioni e 89 milioni di passeggeri nel 2010, ma ricordiamo che tutta la popolazione della Comunità Autonoma è inferiore ai 2 milioni e 200mila persone.
I bilbaini non hanno solo il Guggenheim come specchietto per le allodole, ma a una qualità di vita degna di una regione (la CAPV, Comunidad Autonoma Paìs Vasco) il cui PIL pro capite è il 122% dell’Unione Europea (quello dell’Italia è il 99%) e l’indice di sviluppo umano al terzo posto nel mondo dopo Islanda e Norvegia, secondo l’ONU. Chi pensa che il turismo è stato il modo di tirarsi fuori dalla crisi economica, dice una fesseria, dato che per uscire dalla grave crisi degli anni ‘80 c’è stata una riconversione industriale. Il Paese Basco è sempre stato una regione di industrie pesanti, ma oggi accanto al Guggenheim c’è la torre della Iberdrola, la maggiore azienda produttrice e distributrice di elettricità e gas naturale in Spagna. Quando prendete la metro a Roma, Madrid, Barcellona, San Paolo o Washington; un tram a Friburgo, Houston, Edimburgo o in Nuovo Galles del Sud in Australia; o il treno all’aeroporto di Hong Kong, probabilmente viaggiate su un convoglio fabbricato dalla CAF (Construcciones y Auxiliar de Ferrocarriles).
E comunque giova sempre ricordare che il Guggenheim già nel 2013 aveva generato 3.173 milioni di euro, 37 volte il costo della sua costruzione (fonte El Paìs). Non male per “il più grande giocattolo del mondo”, no?
(°) Queste mostre erano allestite nel 2012, quando è stato scritto parte del post.
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