Pamplona è un’autostrada gialla di ginestre a due ore da Bilbao. Lungo quell’autostrada dall’asfalto perfetto percorsa da rare automobili, c’è un punto preciso, marcato da una galleria, che divide due versanti: tutta l’acqua che cade prima di entrare nel tunnel finisce nell’Oceano Atlantico, tutta quella che cade dall’uscita in poi, nel Mediterraneo. Capitale di un regno dentro al regno, Pamplona è stata scossa come un albero da frutta da un terremoto epocale che ha fatto cadere come una pera troppo matura l’alleanza filofranchista al governo per decenni, formata da UPN e Partito Popolare. In Navarra la maggioranza degli elettori è di sinistra, ma da sempre la comunità forale è governata dalla destra. Un patto non scritto con il Partito Socialista, si mormora neanche così sommessamente in giro. A parte il muso lungo dei perdenti, si fiuta un’aria frizzante di curiosità, fermento e ottimismo per il futuro.
“Pamplona è una città molto comoda”, dice Koldo Rodero, chef con una stella Michelin, appassionato di musica, inventore di street food d’autore e di creme agli ortaggi. “Non cresce, non ci sono distanze, c’è molto verde e molta cura dell’ambiente. La gente non è eccessivamente aperta, però è gentile. Per me Pamplona è un paese grande e c’è un detto che dice: ‘paese piccolo, inferno grande’. Ha il positivo e il negativo di essere una città piccola. Quando ci si conosce tutti, si è un po’ invidiosi come succede nei paesi. In una città più grande passeresti inosservato.”
A Pamplona ci sono 200mila alberi, uno per ciascun abitante. E’ una città molto pedonalizzata e non ci sono distanze, sta tutta in una tasca, come se per fare mezzo giro del GRA di Roma ci volessero dieci minuti. A leggere Hemingway ci si fa l’idea di una città riarsa, dove ci si sposta sotto i portici per non farsi bruciare dal sole rovente. In realtà non ha un clima così estremo. E’ verde, dunque piovosa, e ha grandi parchi e giardini che ospitano animali in libertà. Galline che razzolano in un pollaio di lusso le cui uova vanno alle mense sociali. La Navarra è una regione complessa, fatta di realtà frammentarie, impercettibili al visitatore di passaggio. Non ha spiagge né mare come la Spagna del turismo di massa, e nonostante i Pirenei siano vicini, nemmeno montagne per sciare. Ha qualche monumento romano (la fondò Pompeo nel 75 a.C.), ma niente di che. Vive più di industrie che di flussi turistici, ma è il grande orto che rifornisce i mercati di tutta la Spagna. Si va in Navarra per la natura, come Hemingway, per i boschi e le foreste, come la Sierra de Urbasa.
E’ il paesaggio della Trilogia del Baztán di Dolores Redondo, in cui una commissaria che ha studiato con l’FBI a Quantica e conosce i mezzi d’indagine più tecnologici, risolve i casi attingendo al patrimonio folklorico di una Navarra mitologica: nei boschi di Elizondo vive il basajaun e nelle sue grotte alloggia la dea Mari, personificazione della madre terra, regina della natura e degli elementi. Non credo che Dolores sia ben vista dai pasticceri navarri, visto dove vanno a finire i txantxigorri nel Guardiano Invisibile.
Qui non si incontrano gruppi che seguono bandierine, ombrelli o stendardi. Semmai qualche pellegrino solitario lungo il cammino di Santiago: in Navarra l’itinerario che parte da Saint Jean Pied de Port, nel paese basco francese, si ricongiunge con quello che viene dall’Aragona. L’unica porta d’ingresso originale è quella a nord, il Portal de Frantza, attraverso il quale il Cammino entra a Pamplona. Ha anche un ponte levatoio usato una sola volta all’anno: il 5 gennaio per far entrare i Re Magi che si dirigono verso la Plaza del Ayuntamiento. Dal Portal de Frantza si prende la Calle del Carmen, antica via dei pellegrini. Ci sono vari alberghi e ostelli – uno ha perfino i letti-loculi in stile giapponese – e le spa che offrono pediluvi e trattamenti rigeneranti per i piedi gonfi dei viandanti. Proseguendo si arriva a Plaza de la Nabarreria, il cuore più antico di Pamplona, il borgo autoctono che si ritrovò in lotta contro i due borghi francesi adiacenti, finché anche qui non arrivò un 8 settembre.
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