E’ bello tornare in una città pochi mesi dopo la prima volta. Ti fa sentire, ingenuamente, cittadina del mondo. Hai già un’impronta mentale della sua mappa, qualche punto di riferimento, un posto dove vuoi tornare. Fai meno fatica, ti senti un po’ a casa e speri di poter fare quello a cui la volta precedente hai dovuto rinunciare. A Basilea non ho potuto fare il bagno nel Reno, stavolta voglio fare la bagnante nel Lago di Zurigo.
Tutti quelli che sono stati qui adorano i tram, quelli vintage hanno un fascino insuperabile. Ritorno sui tram non per decantarne le solite lodi: puntuali, comodi, puliti e via discorrendo, ma per un altro argomento: la mobilità.
Sono arrivata con il treno da Basilea ed era la prima volta. Sapevo che dovevo prendere il 13, in che direzione, e scendere dopo 8 fermate. Me lo aveva detto Google Maps. Ma quello che non sapevo me l’ha detto un antico medium analogico: l’umile cartello indicatore, quello che nelle nostre città latita perfino più della banda larga. Appena messo piede sul marciapiede, dopo pochi passi ho visto l’indicazione per il mio tram. Così sono scesa nel sottopassaggio senza passare sotto la Nanà nell’atrio e senza arrivare nel piazzale della stazione e mettermi a cercare fra le pensiline. Nel sottopassaggio, altre indicazioni. Sono andata spedita come se qui ci abitassi. Sono sbucata dalla parte giusta, dopo pochi minuti è passato il tram, sono salita e in meno di 15 minuti ero in albergo. Fin qua sono ordinarie storie di vita quotidiana in una città civile. Non è fantascienza. Basta qualche cartello indicatore.
Ma non è solo di questo che volevo scrivere. Mentre aspettavo il mio numero, altri tram sono arrivati, diverse persone sono scese e salite. Tra queste una donna in una sedia a rotelle che, da sola, senza bisogno di assistenza, ha preso il tram e io mi sono sentita sollevata. Non è fantascienza. Basta un predellino che si allunga fino al bordo del marciapiede.
Chi vive e lavora a Zurigo dispone di una mobilità che scorre liscia come l’olio e non spreca giorni interi della sua vita aspettando un autobus che non passa, una metro o un treno che ritardano, e sa esattamente a che ora uscire di casa per prendere il mezzo pubblico e quanto tempo ci metterà per arrivare al lavoro. Le persone con disabilità hanno pari, o quasi, mobilità.
Alla fine è questione di non sentirsi infantizzati e quindi umiliati come persone, dal cartello indicatore al predellino. La dignità quotidiana è fatta anche di questo.
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