Arrivo a Basilea una domenica sonnolenta di fine agosto, l’unico giorno novembrino di un’estate torrida anche quassù. La città è silenziosa come se tutti i suoi abitanti l’avessero abbandonata in massa, in un esodo ordinato a un segnale convenuto. La pioggerella, il cielo plumbeo, la mia stanchezza, tutto contribuisce al torpore. Nel Jazz Campus e all’Accademia Musicale gli studenti praticano, qualche operaio rinnova l’asfalto mentre i turisti passeggiano e prendono il caffè nei bar nella piazza del Municipio, un edificio iperdecorato di un rosso pompeiano. Il primo colpo di fulmine sono le ex case dei pescatori, trasformate in appartamenti di lusso: da un lato affacciano su una stradina pedonale, dall’altra sul Reno, con una larga banchina dove passeggiare, le facciate colorate con le piante rampicanti e le aiuole, l’argine ripido del fiume che scorre veloce, animato da correnti sostenute. Qui fanno il bagno solo i nuotatori esperti, dicono. Tutti hanno la loro boa personale: una busta sigillata che chiamano “il pesce” in cui mettere i vestiti mentre ci si lascia trasportare in direzione della Francia e della Germania, così non devi tornare indietro a piedi per riprenderli dal punto in cui hai deciso di attraccare.
“Vieni, prendiamo la barca per tornare a Grossbasel”.
Inaspettata, mi piove addosso un’esperienza di piccola beatitudine proprio grazie alla corrente del Reno: su quella barca che fa la spola tra una riva e l’altra, si viene traghettati nel silenzio e nella pace assoluti. La barca scivola collegata a un cavo sospeso sul fiume. Nessuno dice una parola, neanche il barcarolo che passa a raccogliere l’obolo (1 franco e 60, anche in euro, il cambio è 1:1). L’acqua è verde, di fronte si innalzano la cattedrale dove è seppellito Erasmo da Rotterdam, l’università fondata nel 1460 dove hanno studiato Nietzsche e Jung, la Fondazione Paul Sacher Stiftung, archivio musicale del XX e XXI secolo. Con i tempi del fiume, la barca attracca sulla sponda opposta, dove resta in attesa di chi vuole andare dall’altra parte. Se non arriva nessuno, ma qualcuno sull’altra riva vuole attraversare, basta suonare la campana sul piccolo molo e il traghettatore lo va a prendere. Un sistema medievale nella città di Big Pharma, parco giochi delle archistar. Nella testa, per ragioni sconosciute, mi suona La Javanaise di Gainsbourg, colonna sonora perfetta per questo idillio.
Finita la traversata, inizia l’esercizio cardiovascolare. Gradini ripidi, salite acciottolate, rampe. Il centro storico di Basilea è una palestra e vi tonificherà le gambe e i glutei, se non esagerate con la cucina tipica locale. Qui le salsicce si mangiano al metro e le bistecche al chilo, per non parlare dei formaggi e degli insaccati. Nella taverna dove vado a cena, che ritrovo nel labirinto di vicoli del centro storico grazie a due studenti americani. “Da dove vengo io le città non hanno queste piante”, dice il giovanotto guardando la cartina. E probabilmente si chiamano con i numeri ordinali. La cameriera, che è bulgara, non batte ciglio quando ordino la zuppa fredda di cetriolo con menta e coriandolo. Squisita. Il contesto è medievale, con tanto di macabre volpi imbalsamate. Per fortuna esiste quel cibo trasversale – una specie di esperanto gastronomico – che è il salmone affumicato, che arriva con generoso contorno di verdure e pane scuro. Un bicchiere di merlot e anche questa è fatta.
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