Nonostante il 2015 sia stato un buon anno per i viaggi, non sono immune da una Certa Riluttanza quando arrivo al dunque e devo partire. La citazione è snoopyana. Comunque ormai arrivo presto in aeroporto, come un’anziana, e tutto scorre liscio, fin troppo. Nessuno ha da ridire sulla quantità smodata di liquidi che ho inzippato nella bustina trasparente (fuori formato); nessuno mi fa notare che vale la capacità del contenitore, non il contenuto rimasto. Lo farà solo il solerte addetto all’aeroporto di Zurigo, al ritorno. Per cui badate: se avete un contenitore da 120ml e dentro c’è rimasto solo 1/5 di latte detergente, gli svizzeri ve lo faranno buttare. Anche se per caso fosse di Sisley e valesse più di un rene medio.
La Svizzera sono città silenziose che scorrono dietro i finestrini del treno (che stavo per perdere perché pensavo dovesse ancora arrivare, mentre ero io a stare fuori dei limiti del marciapiede. I tranelli della civiltà). Facciate immacolate, senza un graffio, una tegola o una piastrella sbeccate. Qui non solo i prati dei giardini fanno la manicure più spesso delle mie mani, ma anche le montagne: come se un esercito di giardinieri invisibili raccogliesse le foglie, rastrellasse, potasse gli alberi e tenesse in ordine i boschi come il salotto di casa.
Dal treno, osservando il mondo senza suoni che mi scorre davanti, capisco che per gli svizzeri è proprio domenica: mangiano in giardino, in veranda o balcone, invitano gli amici, vanno al club, oziano. Anche dalla capsula ferroviaria in cui mi trovo, puntuale in modo micidiale, capisco che per loro è un giorno diverso dagli altri. A casa mi sembra più che altro un affanno, il giorno in cui vorresti fare tutto e che invece ti scivola via tra le dita lasciandoti la sensazione di essere stata ancora una volta beffata. A Zurigo c’è il sole ma Basilea è plumbea.
Le prime parole le scambio con una poliziotta che sembra una modella, lo sguardo duro, il dito della mano sinistra che si agita nervosamente mentre il suo collega controlla i documenti a un gruppo di individui loschi. Mi avvicino per chiedere la direzione e lei mugugna seccamente qualcosa per dirmi “smamma, ho altro da fare”, lo sguardo fisso sui loschi. Ma tanto indovino la direzione da sola, a naso, andando verso il verde: Die Wette Park, Elizabethstrasse, Zum Kuss. La prima tappa basilese è Al Bacio, caffè e Kultur Bar in una ex cappella che nel tempo è stata anche magazzino e sala prove per l’associazione musicale. Arrivo in tempo per il brunch caraibico, che consiste nello spruzzare di noce moscata e cannella un po’ tutto quello che mangi, dalle uova strapazzate al cioccolato. Rincuorano le spezie, perché qui per essere il 23 agosto sembra il 10 novembre.
Zum Kuss è accogliente, con i giornali, le riviste e i libri sul grande tavolo rotondo, i clienti taciturni, i tavoli all’aperto sotto gli ombrelloni che oggi riparano dalla pioggia. Come brunch è un po’ leggerino: tutti assaggi, anche se buoni. Apprezzo che ti portino una caraffa d’acqua perché trovo insopportabile che i locali te la facciano pagare. Acqua del Sindaco gratis per tutti al ristorante.
“Basilea è piccola e ricca. E mentre le case schizzano in altezza, la città rimane con i piedi per terra”, titola un inserto domenicale. Andiamola a scoprire, la piccola e ricca Basilea. Sotto la pioggia, torno nel Piazzale dell Stazione e cerco – ovviamente – un tram.
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