Vestita in nero totale – dal cappello posato un po’ sghembo sulla testa agli stivaletti – i capelli bicolore scuri e corti ai lati, e la zazzera lunga e ossigenata, Chiara Luzzana è una perfetta new waver. Sembra uscita dalle pagine fresche di stampa di un i-D del 1980, se non fosse che nel 1980 lei ci è nata, in una città del Nord Italia affacciata su un lago che ha lasciato per andare a vivere tra Milano e Shanghai. Nella sua lista delle cose da fare, oltre a un progetto per il Guggenheim di Venezia e un altro in Cina di cui è troppo presto parlare, c’è trovare un tetto sotto cui riportare i sintetizzatori e strumenti vari sparsi tra la casa materna e quelle degli amici.
Chiara ha imparato ad ascoltare i suoni e la musica prima ancora di iniziare a parlare. Ha studiato chitarra, clarinetto e pianoforte e ha fatto il conservatorio finché la rigidità del metodo musicale non è andata in corto circuito con la sua creatività. “Allora ho distrutto tutte le regole, ho iniziato a comprare i primi sintetizzatori analogici e a registrare suoni da quello che mi capitava sotto gli occhi”, dice alzando un po’ la voce per farsi sentire sulla colonna sonora bollywoodiana che per due ore viene sparata dalle casse. Siamo nello studio radiofonico dell’International Radio Festival a Zurigo e mentre parliamo va in onda il Breakfast Show di Big FM di Mumbai. La selezione è entusiasmante e spesso interrompiamo la chiacchierata per ascoltare i pezzi scelti dal dj Siddharth Misra.
Chiara maneggia tutti gli strumenti del mestiere da oltre quindici anni: ha iniziato come dj quando ne aveva 18, suonando nei locali in Italia e all’estero; verso i 22 ha iniziato a creare colonne sonore per conto di agenzie e negli ultimi anni è arrivata a collaborare con Valentino, Jean Paul Gaultier, Diesel. Per loro ha composto musiche che richiedevano attenzione per i particolari, quei dettagli che dai tessuti lei ritrova nella musica, con una connessione sinestetica fra il tatto e l’udito. Per caso vede i suoni come forme colorate, come Linda Perhacs? “Ancora no – risponde – ma sono un’ascoltatrice visiva: tutto quello che vedo può essere ascoltato. Ancor prima di toccare un oggetto, capisco che cosa vuole comunicarmi. Da bambina non parlavo molto, ero abbastanza taciturna. Ho sempre parlato tramite la musica o facendo suonare gli oggetti. Per me è stata un’evoluzione naturale”.
La sua formazione è a 360° e le permette di seguire l’intero percorso creativo, dall’idea iniziale alla realizzazione finale passando per tutti gli stadi intermedi, compresi gli strumenti musicali e di ripresa necessari. Nel 2005, dopo un corso di tre anni, è diventata audioingegnere per poter trasformare i suoni “grezzi” che registrava in giro in suoni utilizzabili nelle composizioni, scegliendo di fare tutto da sola, microfoni compresi: “So che tipo di frequenza ha quello che devo registrare, e quindi di che microfoni ho bisogno. Ne saldo insieme diversi oppure li modifico.”
L’anno scorso ha vinto una residenza artistica presso lo Swatch Art Piece Hotel di Shanghai, dove ha vissuto sei mesi a caccia dei suoni della metropoli, dormendo pochissimo. La routine quotidiana iniziava alle 3 del mattino per registrare il risveglio e proseguiva fino a mezzogiorno, portandosi dietro uno zaino con dentro 10 kg di apparecchiature. Le colonne sonore usciranno a fine ottobre con il titolo Shanghai 8, ma durante quella residenza ha avuto l’idea della colonna sonora fatta con gli orologi, una passione che si porta dietro fin da bambina: “Da quando ero piccola ho sempre avuto orologi Swatch. Anche quando ho smesso di collezionarli, ho continuato a seguire quello che facevano, perciò di ciascun modello riconoscevo il ticchettio. C’è anche un’impercettibile differenza nel movimento delle lancette. Sono tutti diversi, anche il materiale cambia.
In Svizzera, dove è tornata per l’IRF, Chiara è di casa per aver frequentato in modo intensivo non un collegio d’élite o una scuola per manager, ma le fabbriche e i bunker della Swatch, dove ha aperto e smontato ingranaggi, percosso, tastato, sfregato ogni singolo componente degli orologi, dal cinturino alle lancette, ai macchinari e perfino i guanti indossati dagli operai. Ha anche costruito nuovi strumenti, come una specie di mini arpa le cui corde sono ricavate proprio da quei guanti di gomma. Da ogni cosa ha estratto suoni e ne ha collezionati 2.400, che selezionati e lavorati hanno composto una colonna sonora di sei minuti, la prima fatta solo di orologi: “Sono andata nelle loro fabbriche, li ho smontati, ho preso i singoli suoni da ciascun elemento, dalla ghiera alla rotella, al cinturino, facendo suonare perfino i guanti, forse la sfida più divertente. In prevalenza il ritmo è creato con i ticchettii, mentre gli altri suoni creano la melodia. Ad esempio, ci sono tre diverse parti di chitarra che ho creato tenendo le lancette tra due pinze: cambiandone la posizione e pizzicandole ho creato frequenze e suoni diversi.”
E’ stato un lavoro infinito anche se limitato nel tempo: una settimana chiusa tra fabbriche e bunker vari in Svizzera a registrare e un mese per creare “60 Bpm – The sound of Swatch”, la colonna sonora ufficiale di Swatch Faces 2015, presentata di recente alla Biennale Arte, e all’International Radio Festival di Zurigo. Sul suo sito c’è anche un breve video che mostra le fasi del processo “compositivo”: “E’ stata una prova, una sfida con me stessa. Da tutto quel materiale creare qualcosa che fosse riconoscibile come musica da ascoltare e ballare, non come sound effect.”
A chi le chiede quali sono le sue influenze, risponde con garbo che lei è “ispirata, non influenzata” da Nino Rota, Angelo Badalamenti, Matthew Herbert e Laurie Anderson. Ma nonostante la passione per gli orologi, Chiara al tempo non ci crede: “Per me è un’astrazione. Nel momento in cui impari a vivere senza limiti – di luogo, spazio e tempo – tutto diventa eterno.”
Leave a Reply