E’ nato a Tolosa, nella vicina Gipuzkoa, figlio di genitori che si sono conosciuti a Barcellona, nel ristorante dove lavoravano entrambi, lui come cuoco, lei come cameriera. Ad averlo influenzato ai fornelli è soprattutto la madre, che ha cucinato molto per lui. La mentalità gipuzkoana è che a tavola si mangia primo, secondo e dolce, come lui continua a fare a casa, mentre la moglie e il figlio mangiano un piatto unico. Rodero, il suo ristorante, è a pochi passi dalla Plaza de Toros di Pamplona. Qui lo incontro con breve preavviso, mi accoglie gentile e disponibile nonostante stia aspettando una tavolata di clienti cinesi. La prima cosa che gli chiedo è di introdurci alla gastronomia navarra.
KR: Parlare di cucina navarra significa parlare di una cucina plurale. Io la considero come la penisola iberica in piccolo. Quello che ci rende diversi è che abbiamo tre climi complementari: la zona a nord montagnosa, la zona centrale, e la Ribeira dove c’è perfino un deserto. Anche culturalmente la gente è diversa: chi abita nella zona montagnosa è un po’ più chiuso, ma scendendo si incontra un clima più caldo e la gente vive di più per strada. La gastronomia riflette questa tendenza perché ovviamente i prodotti della montagna non sono quelli della Ribera: la cucina del nord è più incentrata sui prodotti caseari ovini, al sud ci sono più verdure. La Navarra è un grande orto, qui si coltivano i migliori asparagi e carciofi di tutta la Spagna. Perciò clima, cultura e ambiente sono diversi e di conseguenza anche la gastronomia. C’è un detto che dice: “No hay un solo plato de cuchara que unifique a toda Navarra”. Nella zona de la Ribeira si mangiano las alubias a las pochas, i fagioli bianchi freschi, più una verdura che un legume. Al nord invece ci sono i fagioli rossi, piccoli e pregiati, un’influenza della vicina Gipuzkoa. Al nord c’è anche l’influenza francese, mentre al sud è più aragonese e castigliana. L’aggettivo che definisce meglio la gastronomia navarra è recia, potente. I navarri sono come i baschi, hanno la fama di mangiare grandi quantità, anche perché prima il lavoro era più fisico e pesante.
Qual è la caratteristica della tua cucina?
KR: Io difendo il prodotto locale a km 0 e lo uso per creare una cucina diversa, più evoluta. Un piatto che è nella carta del mio ristorante da circa 25 anni, è la corona di carciofi fritti con gli scampi e un giro di olio di pimiento. Quel piatto segnò un gran cambiamento: in Navarra le verdure si cucinavano troppo, diventavano insipide e non mantenevano le loro proprietà organolettiche, mentre la carne si stufava. Invece io ho iniziato a cuocere arrosto e a cucinare meno le verdure. I carciofi li puliamo bene, li tagliamo in 4 o 5 fette non troppo sottili, li passiamo nella farina e li friggiamo nell’olio. Per decorare la corona aggiungiamo qualche scampo e finiamo con un giro di olio ai peperoni. Un altro vegetale che mi appassiona è il cardo rosso, un prodotto autoctono: ogni cardo viene ricoperto con 600 chili di terra e poi si dissotterra, perciò ha un sapore minerale molto particolare. Da bambino lo mangiavo crudo in insalata e mi piaceva la sua freschezza e croccantezza. Ma a Pamplona si mangiava sempre ben cotto con le mandorle e una vellutata di verdure, un piatto tipico del Natale. Noi abbiamo introdotto il cardo crudo, come anche l’asparago bianco. C’è un detto che dice: “Quando si cuoce una verdura in acqua, ci guadagna sempre l’acqua!”
Sei sempre stato un buongustaio?
KR: Il giorno che nacque mio fratello minore, che ha 12 anni meno di me, io stavo mangiando da Arzak, a San Sebastiàn. Sono sempre stato curioso, mia madre mi racconta che da piccolo andavo nei bar e chiedevo mezza dozzina di ostriche. I miei genitori mi portavano spesso a mangiare fuori: io ordinavo rognoni allo sherry, crepes suzette, provavo sempre tutte le cose strane. La memoria gustativa rimane molto forte fin dall’infanzia, si può evolvere, però il nucleo, il disco duro, si forma nell’infanzia.
Koldo ama Pamplona perché è piccola e maneggevole, c’è molto verde e cura dell’ambiente. Il clima però è un po’ complicato: “Noi lo chiamiamo Mordor, la Terra Oscura del Signore degli Anelli. Si rannuvola all’improvviso, fa freddo, piove, ma il giorno dopo esce il sole”, dice. E i Sanfermines?
KR: Per me sono schiavitù: entro in cucina alle 9 del mattino ed esco alle due di notte. In quei giorni spendo un euro al giorno: quello del caffè del mattino! I Sanfermines sono una festa di strada: se vieni solo, trovi degli amici. L’encierro è l’epicentro della fiesta, qualcosa di magico. Viene gente di tutti i tipi, dallo sceicco arabo al musicista di strada, il bello della festa è la convivenza. Ci sono i Sanfermines di giorno e di notte: la festa diurna è bella, inizia al mattino con las dianas de la pamplonesa (il percorso per le vie del centro storico della banda), la processione, i giganti, i cabezutos, il vermù, il mangiare nelle sociedades o nei ristoranti, da cui si esce con bocadillos per andare a vedere i tori. Finiscono di mangiare alle sei del pomeriggio e al terzo toro, cioè a metà della corrida, la tradizione vuole che si mangi un panino.
Per essere uno chef con una stella Michelin, Koldo ha compiuto una mossa audace. Ispirato da Una banda di idioti di John Kennedy Toole, in cui Ignatius J. Reilly è costretto a lavorare vendendo hot dogs, e complice uno dei fondatori di Kukuxumusu che vive a New York, ha pensato di vendere street food in stile americano durante i Sanfermines: una salsiccia di alta qualità, prodotta in Navarra da Pamplonica, con il 25% di txistorra, 83 grammi di carne al 100% iberica battezzata Perrito Bravo. Agli ultimi Sanfermines ne hanno venduti circa 40mila.
Foto di copertina: “Royal de setas de otoño con velo de oro”.
https://www.facebook.com/RestauranteRodero?fref=ts
Leave a Reply