Eccolo, è il poster dell’edizione 51 del Jazzaldia di San Sebastián, che si svolgerà dal 20 al 25 luglio, nell’anno in cui la città è Capitale Europea della Cultura. I vincitori del concorso di quest’anno sono Marcos Navarro e Maddi Martínez de Murguía, un barcellonese e una donostiarra di meno di trent’anni che hanno vinto con l’immagine di un combo jazz vorticante, avvolto nella spirale contagiosa della musica. Un’immagine divertente, elegante, giocosa, poetica, con una nuance di vintage che mi fa pensare proprio a Barcellona, una delle capitali dell’avanguardia nell’Europa di inizio XX secolo, e contemporaneamente richiama la rispettabile età di una delle rassegne jazz più consolidate del continente.
I primi nomi della prossima edizione sono Diana Krall, Gloria Gaynor, Branford Marsalis con Kurt Elling, Brad Mehldau con John Scofield e Mark Guiliana, Jan Garbarek, Steve Coleman, Marc Ribot and The Young Philadelphians, Ibrahim Maalouf e Christian Scott. Il cartellone verrà completato a fine mese. Molti di questi musicisti sono dei veterani del festival; speriamo di trovare anche qualche sorpresa, perché Jazzaldia ci ha regalato in passato delle novità e anticipazioni proponendo artisti ancora poco noti e contribuendo a lanciarli. Molta attesa per i concerti in seconda serata, spesso quelli più interessanti per un pubblico di nicchia.
Il mio primo concerto al Jazzaldia è stato quello di Patti Smith sulla spiaggia della Zurriola. Ricordo che lei disse qualcosa a proposito della statua del Cristo sul monte Igueldo e io pensai all’incipit di Gloria (“Jesus died for somebody’s sins but not mine…”). Patti, come sei cambiata, pensai. Poi B.B. King con un tempo infame, salvata dagli stivali di gomma scandinavi che avevo appena comprato. Il concerto mistico di Jan Garbarek al San Telmo con The Hilliard Ensemble, il tuffo al cuore e nel passato rivedendo le (ex) guance paffute di Lloyd Cole, Enrico Rava osannato al Basque Culinary Centre, Jan Bang con John Hassell. Apprendere della morte di Amy Winehouse seduta sulle gradinate di Plaza de la Trini e della strage di Utoya di ritorno da un’escursione. Perdermi l’evento Antony per una sbadataggine imperdonabile, ma assistere a un concerto di txalaparta (“lo strumento più omoerotico che abbia mai visto”, commentò acutamente una giornalista). Essere confortata nella convinzione dell’inutilità di certa musica, dalla eccellente sintesi dell’esimio corrispondente di Downbeat: “Andare a un concerto di Al Di Meola è come guardare un porno: vedi molta abilità tecnica, ma non senti niente. Un sacco di acrobazie, ma alla fine… scusa, come hai detto che ti chiami?”.
In tre edizioni di Jazzaldia non solo ho ascoltato tanta musica, mangiando e bevendo divinamente, pedalando un sacco, tornando con gambe toniche e un filo di abbronzatura, ma ho anche imparato molto. Mi manca orribilmente, lo confesso, e non vedo l’ora di tornarci.
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