A marzo è successa una cosa molto bella: un altro spin off di Sei Gradi ha preso vita. E’ il “prurito del settimo anno”, un friccicorio di crescita. Dopo le riviste online, i progetti didattici, le tesi di laurea ispirate dal programma di Radio3, due ascoltatori speciali hanno avuto un’altra idea e mi hanno invitata a presentare un panel durante il Festival della Crescita a Roma: al posto dei dischi c’erano artisti, musicisti, progetti. Ho detto sì. Nei giorni precedenti ho incontrato quasi tutti: sono stata da MaTeMù, a Cinecittà durante The Street di Tobias Kaspar ho conosciuto Sacha Turchi e Clara Tosi, e a Torpignattara ho fatto due chiacchiere con Amir Issaa e Phaim Bhuiyan. C’erano anche 999Contemporary con Big City Life e i Verba Volant.
E’ arrivato il giorno del panel. Io sono andata dal parrucchiere e poi a Termini, al numero 34 di Via Giolitti. Sono salita e ho percorso tutta la fuga di archi fino ai Luiss Enlabs. Nell’attesa (ero in grande anticipo) ho seguito una parte del panel precedente e poi ci siamo riuniti per fare il punto della situazione. L’ultimo ad arrivare è stato Phaim Bhuiyan, che solo un quarto d’ora prima dell’inizio del nostro panel ha consegnato la pennetta USB con il suo contributo: un video di due minuti e mezzo sul tema della crescita.
Phaim è un videomaker di ventun anni, nato a Roma da genitori bengalesi. Fa video da quando ne aveva 14 e voleva essere uno youtuber: girare video, divertirsi e guadagnare grazie alle pubblicità. Ha ricevuto vari riconoscimenti e premi con cui ha comprato la sua prima videocamera. Ha vinto una borsa di studio dell’Istituto Europeo di Design dove frequenta il corso di Video Design e Filmmaking. E questo è il video che ha realizzato per il Festival della Crescita.
Mi piace la malinconia fresca, non retorica, dei vent’anni di Phaim. Le sue immagini seppiate ma attuali, della Roma che ci scorre sotto gli occhi tutti i giorni. Il modo rapido e leggero di riprendere la sua Innegabile Bellezza durante il tragitto che dal centro con pennellate rapide passa per i luoghi turistici (Piazza del Popolo, il Tevere, Castel Sant’Angelo, Piazza Navona) e poi entra in un tram il cui unico passeggero è un ragazzo bengalese. L’alternanza equivalente tra centro storico (Mazzini sull’Aventino, un panorama romano) e i tetti di Torpignattara, con il centro culturale islamico e la street art, la nuova bellezza del quartiere, le bancarelle degli ambulanti e il tram con il suo carico di passeggeri, tranne quando è stranamente vuoto come la tangenziale, di solito intasata, qui colta in un momento di vuoto poetico.
Tutto ripreso con lo stesso lirismo. C’è fluidità, quella di una marea di persone che si muove, attraversa la città senza pensare a confini e quartieri, perché in una città ti sposti per lavoro, necessità, turismo, o per oziare. In una città si vive, spesso in solitudine in mezzo alla folla, come racconta Olivia Laing nel bellissimo The Lonely City, come il ragazzo che guarda i binari alla fine del video di Phaim. Binari su cui nel frattempo è scesa la notte. E con la notte arriva Arthur Conan Doyle. Sembra uno spot, quasi ti aspetti un messaggio pubblicitario, invece il pay off è una citazione da Il Mastino dei Baskerville: una storia di Sherlock Holmes in cui cinque trame diverse si intrecciano, ma una sola è quella che conta e che il detective deve svelare. Forse questa è Roma: molte trame che si intrecciano, alcune raccontate dalla televisione in programmi che innescano fobie (i creeper vittoriani a cui fa riferimento Conan Doyle) e agitano spauracchi xenofobi. Torpignattara come Molenbeek a Bruxelles è una di queste trame depistanti.
Poi c’è l’unica trama vera, quella della vita quotidiana, della street art, della scuola Carlo Pisacane dove Amir Issaa tiene laboratori rap contro il razzismo. Torpignattara e è alle spalle di dove abito, giusto dall’altra parte della ferrovia. Era borgata quando Pasolini la citava in Ragazzi di Vita, e quando con Ninetto Davoli, Franco e Sergio Citti andava a mangiare in una trattoria in zone. Oggi la comunità più numerosa è quella bengalese, il nome alternativo è Banglatown, ma ci vivono anche molti peruviani, rumeni, filippini, cinesi e nordafricani oltre agli italiani. L’occhio penetrante di Pasolini vigila ancora da un murales al Pigneto, ma lui non è qua a raccontarcela. Lo fanno i ragazzi di “seconda generazione” come Phaim Bhuiyan, che al Festival della Crescita commentando il video ha detto:
“La crescita è il risultato di un percorso che può essere nutrirsi, creare, e anche osservare, perché è il modo più efficace per imparare e riflettere. Nel video ci sono immagini di Torpignattara, un quartiere che sta crescendo, grazie anche alla street art. Un quartiere dove ho visto per la prima volta dei turisti! Tutto questo mi fa sperare che questa città può avere un punto di svolta.”
(foto di copertina: Giorgio Cohen Cagli, Courtesy Wunderkammern Gallery)
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