La sveglia suona alle 7:30 e io, incredibilmente, mi alzo. Senza fare colazione esco di casa prima di quando lavoravo in ufficio. Esco dal cancello condominiale e mentre cammino sul marciapiede qualcosa mi colpisce alle spalle, di striscio. Mi volto, guardo in alto, poi in basso e vedo per terra un coltello. Ha un aspetto molto acuminato e affilato, tipo da bistecca.
“Mi scusi!”, grida un tizio da una finestra del quarto piano. “Mi è scivolato”.
Le gambe mi fanno Giacomo Giacomo.
“Ma lei è scemo?!?”, gli urlo.
Vedi che è pericoloso alzarsi presto? Se piovono pugnalate alle otto di mattina, quante probabilità ho di arrivare alla fine di questa giornata? Non ho nemmeno fatto colazione perché mi hanno promesso che la troverò al Monk Club per la Mattina Creativa di dicembre. Quando arrivo, nella sala i caminetti sono già accesi e c’è un bel banchetto con pane e marmellate, pasticcini, torta di mele, ciambellone al cacao, ricottine fresche e succo di pomodoro.
“Vuole una panzanella?”
“A quest’ora no, grazie”.
Fetta di torta in una mano ed espresso nell’altra, vado a conoscere Fabrizio Pagani di Media Tools, ramo italiano di Creative Mornings, e chiedo a lui perché mi trovo lì.
“Creative Mornings è un format creato nel 2008 a New York da una graphic designer, Tina Roth Eisenberg, con un’idea semplice ma stimolante: un venerdì al mese, organizzare conferenze ispirazionali all’ora di colazione per la comunità creativa. Da New York l’idea è stata esportata nel mondo e oggi le Creative Mornings si tengono in quasi 160 città; in Italia a Torino, Milano e Roma dove abbiamo iniziato a settembre 2015. Lo schema è mezz’ora di colazione e chiacchiere, 30 minuti di discorso ispirazionale e domande e un’altra mezz’oretta di caffè e cibo, poi alle 10 tutti al lavoro. Nei mesi scorsi alcuni temi sono stati trasparenza, linguaggio, shock, empatia, fantasia e a parlare sono stati fra gli altri una coach, una cuoca, un artista circense, alcuni artisti digitali e oggi c’è un musicista. Creative Mornings non nasce con intenti di profitto ma per uscire dalla propria zona di conforto. Il guadagno è il networking.”
La sede di Roma a dicembre è stato il Monk Club, la colazione squisita era dell’agriturismo Borgodoro di Magliano Sabina, il caffè Methodo, il supporto tecnico di Media Tools per la parte social, grafica, video. Il tema è uguale per tutti – a dicembre era sound – declinato a livello locale. Gli incontri servono principalmente a conoscersi, fare rete, celebrare il talento creativo: una TED per tutti, l’hanno definita. Teho Teardo ha parlato di Suono e Memoria, cominciando da un curioso aneddoto di gioventù: un concerto degli Einstürzende Neubauten nella seconda metà degli anni ‘80, nel palazzetto dello sport di Treviso.
“Rudolf Moser si avvicinò al bordo del palco, io ero in prima fila. Aveva un enorme masso, si accovacciò e lo colpiva fortissimo con un martello. C’era un microfono a contatto, il suono era gigantesco e in faccia alle persone arrivavano schizzi di pietra e scintille. A un certo punto il bassista cominciò a suonare: io non ho mai sentito un suono di basso così furioso ed esagerato come in quel concerto. All’epoca suonavo la chitarra e non avevo mai considerato il basso, per me era lo strumento che nella musica faceva dum dum dum nei punti stabiliti. Invece in quel caso c’era qualcosa di straordinario: innanzitutto il volume fortissimo che mi ha fatto capire che il volume – sia alto sia basso – aveva un ruolo determinante nel suono.
Quel suono di basso mi rimase dentro probabilmente in modo diverso da quello che stava accadendo in realtà. Il brano era Seele Brennt. E’ un basso suonato con i bicordi e riascoltandolo non sembra niente di speciale, ma all’epoca mi mandò completamente fuori di testa. Per mesi ho continuato a pensare a quel suono, andavo a sentire i Neubauten dal vivo, ma non fu mai più la stessa cosa. Molti anni dopo, mi trovavo nello studio dei Neubauten per registrare un disco e ho chiesto loro di quel suono. Il bassista Mark Chung nel frattempo aveva cambiato lavoro, si occupava di management. Durante un concerto a Berlino è venuto e gli ho detto che ero rimasto allibito dal suono del suo basso negli anni ‘80. Davvero?, mi ha detto. Sì, non ho mai sentito una cosa così potente e assoluta, per me è un suono definitivo! Io non ho mai avuto un gran suono di basso. Ho deciso di smettere perché facevo fatica a suonare. Dovevo incidere le mie parti tagliandole e rimontandole perché non ero in grado di suonarle perfettamente, ha risposto. In quel momento il mio mito si è frantumato. Ho pensato che Mark facesse il modesto, così l’ho chiesto anche agli altri, che hanno confermato tutto.
Quindi negli anni ho vissuto una sorta di invenzione. Forse ho assistito a qualcosa di molto intenso ma anche casuale, forse un rimbombo dovuto al posto, perché riascoltando altre versioni dal vivo, quello che io ho sentito non c’era. E’ proprio uno sbaglio della mia memoria. Una cosa simile mi è successa molte altre volte. Nella musica la componente dell’errore, della percezione sbagliata per me è ricorrente. Spesso la mia è una storia di errori, di sbagli”.
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