Il prossimo 21 aprile Iggy Pop compirà 70 anni, sarà il caso di celebrarli come si deve. I festeggiamenti sono iniziati lo scorso anno a Cannes con la presentazione di Gimme Danger, il docufilm che Jim Jarmush, regista molto rock per una serie di motivi, è finalmente riuscito a completare dopo anni di lavoro, superando problemi di budget e l’avidità di chi detiene i diritti di riproduzione di foto e altro materiale visivo. Jarmush è regista rock perché a suo tempo fece parte della no wave newyorchese con The Del-Byzanteens; più recentemente ha pubblicato due dischi con il liutista Jozef van Wissem ed è uno dei componenti del gruppo rock SQÜRL. Come regista non ha certo i tempi forsennati di Woody Allen, ma nel 2016 ha fatto uscire due film. Chi ha trovato Paterson estenuante per la sua lentezza, troverà compensazione nel superenergetico Gimme Danger. L’uno arte della routine, l’altro epopea del caos.
Jarmush aveva dichiarato di essere al lavoro su un documentario dedicato agli Stooges già nell’agosto del 2010 e sapeva che il progetto lo avrebbe impegnato qualche anno: “Non ho fretta, ma è una cosa che Iggy mi ha chiesto di fare”. Lui e Jim Osterberg (vero nome dell’Iguana) sono amici da 25 anni. Quasi una decina di anni fa, Iggy aveva espresso il desiderio che fosse lui a realizzare il film definitivo sulla storia del gruppo. Jarmush decise che le persone da intervistare sarebbero state solo quelle della famiglia Stooges: oltre ai musicisti, anche Kathy Asheton, sorella di Ron e Scott (chitarra e batteria) e il loro manager Danny Fields.
Iggy Pop è un grande narratore: affascinante, colto, divertente, preciso, aneddotico, autoironico, consapevole, carismatico. Racconta particolari della sua infanzia come il legame stretto con i genitori, la vita nella mobile home, la batteria montata e smontata ogni giorno finché i genitori non gli cedono la stanza grande, si prendono la sua cameretta e la batteria troneggia indisturbata in salotto; oppure Soupy Sales, il suo programma tv preferito, e l’insegnamento memorabile del conduttore, che chiedeva ai bambini di scrivergli, ma non più di 25 parole, anche meno. Un comandamento che non ha dimenticato: “Non volevo certo essere Bob Dylan, bla bla bla…”. Prendete No fun, il ritornello dice: “No fun my babe. No fun. No fun my babe. No fun”. Sintetico, no?
Jim comincia dalla batteria, ma poi si stufa di quella posizione nelle retrovie, che tuttavia gli ha lasciato qualche bel ricordo – i più bei culetti del pop? Levi Stubbs, leader dei Four Tops, e Mary Weiss delle Shangri-Las – e diventa un performer dionisiaco. Iggy è lucido e onesto, lui che potrebbe permettersi dosi massicce di autocompiacimento. Descrive gli Stooges come dei veri comunisti, che condividevano tutto – casa, cibo e royalties. Oggi più mai ci appaiono come musicisti rivoluzionari, radicali come la scena di Ann Arbour da cui emergevano: nonostante la posizione geografica lontana dalle due coste americane e quindi dai centri del dibattito musicale, in quegli anni all’Università del Michigan suonavano John Cage, Luciano Berio, Cathy Berberian; nel 1969 Sun Ra e la sua Arkestra trascorsero un mese in una confraternita di Ann Arbor e avevano come vicini di casa il poeta e attivista John Sinclair e le sue White Panther Party, questi ultimi “francamente ridicoli”, commenta Iggy. A lui piaceva fumare marijuana o calarsi un acido e ascoltare Harry Partch e i suoi bellissimi strumenti autocostruiti.
Gimme Danger è divertente per l’uso di vignette, cartoni animati e stop motion e per il modo irriverente ma puntuale con cui presenta la storia della più grande rock band mai esistita, affermazione con cui alla fine del film si concorda al 100%. Cinquanta anni dopo il loro esordio il giorno di Halloween all’Università del Michigan, in piena contestazione, The Stooges restano una band prorompente talmente all’avanguardia da aver anticipato tutti, non solo il punk, ma anche l’industrial (“Le presse delle industrie automobilistiche di Detroit? Voglio quel rumore sul palco!”, dice Iggy) e il free form nel pop-rock. E pensare che con gli Iguanas il piccolo Jim si cimentava con una cover di She cried di Jay and the Americans.
Le influenze musicali ci sono, ma non sono così facilmente identificabili come in altri colleghi (lo stesso David Bowie, ad esempio), ed è per questo che The Stooges sono stati cruciali, inimitabili, più avanti di tutti nella musica, nella vita e in concerto. Oggi nessuno fa sul palco quello che faceva il giovanissimo Iggy Pop, molto più scandaloso e oltraggioso di Jim Morrison, molto più nudo e provocatorio, con un collare da cane rosso al collo, guanti argentati, slip da donna, con un corpo ipertonico e di gomma che sembra saltato fuori dalle pagine di un manuale di anatomia: “Un front man che incarna in qualche modo Nijinsky, Bruce Lee, Harpo Marx e Arthur Rimbaud”, dice Jarmush. “Anche il faraone Yul Brinner”, aggiunge Iggy.
Quegli anni oggi ci fanno impallidire per il loro fervore, l’audacia, la fibrillazione culturale: rivolte studentesche, antiautoritarismo, contestazione, lotta per i diritti civili, psichedelia. I nostri tempi appaiono in confronto tristi e retrivi come gli anni ‘50, un torpore da cui non ci sveglierà la nascita del rock and roll, purtroppo.
“Non ci sono precursori per The Stooges – dice Jarmush – mentre le band che si sono ispirate a loro sono ormai una legione… Questo è un film selvaggio, disordinato, emotivo, divertente, primitivo e sofisticato allo stesso tempo”. Curiosità: il regista ha messo in pausa Gimme Danger per fare Paterson, nel quale il riferimento a Iggy Pop è vero: The Girls’ Club della città del New Jersey nel 1970 lo proclamò l’uomo più sexy del mondo.
“Sono molto fortunato – dice Jarmush – perché ho girato solo un altro film musicale, Year of the Horse con i Crazy Horse, e fu Neil Young a chiedermi di farlo. Amo i Crazy Horse e The Stooges ce li ho nell’anima. Gimme Danger è il film di un fan”.
Al cinema solo il 21 e 22 febbraio 2017. Lista delle sale qui: www.nexodigital.it
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