Pensando alla scena folk britannica a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, è impossibile trascurare l’importanza che le donne hanno avuto in questo movimento. Sandy Denny, Vashti Bunyan, Anne Briggs, Shelagh McDonald, solo per citarne alcune, sono tutte artiste che, con alterne fortune, hanno segnato in modo indelebile questo genere. Il nome di Bridget St John (al secolo Bridget Hobbs) rientra a pieno titolo in questa schiera di musiciste, pur avendo conosciuto un inspiegabile insuccesso commerciale con i suoi album.
Talento della chitarra acustica, dotata di una voce morbida e profonda, St. John è stata spesso accostata a Nico per il suo caldo timbro vocale. Sebbene della femme fatale teutonica non abbia mai avuto la sofisticatezza né l’intraprendenza, con quell’aria un po’ dimessa e schiva, l’estro di questa giovane londinese non è passato inosservato tra gli addetti ai lavori.
Ci ha creduto fin da subito John Peel: per la sua Dandelion Records fa uscire lil suo splendido album di debutto, Ask Me No Questions, nel 1969. È lo stesso Peel ad affermare chiaramente che la ragione principale per cui ha creato la Dandelion è Bridget, «altrimenti nessun’altra etichetta avrebbe registrato la sua musica». Disco dal fascino discreto, vede St. John – chitarra e voce – accompagnata in alcuni brani dalla seconda chitarra di John Martyn, suo mentore, al quale era legata da una profonda amicizia.
Ma la definitiva conferma del suo talento cristallino arriva con il secondo album, Songs for The Gentle Man, del 1971. Il disco esce ancora per la Dandelion di John Peel che non esita a definirla «la migliore cantautrice folk britannica». In questo suo secondo Lp, registrato nel leggendario Sound Techniques a Chelsea – dove, tra gli altri, sono passati anche Nick Drake, Fairport Convention e lo stesso John Martyn – Bridget St John si spinge oltre le atmosfere intime del primo album, grazie anche alla produzione di Ron Geesin, noto per gli arrangiamenti di Atom Heart Mother dei Pink Floyd.
L’album viene tutto organizzato intorno a un piccolo ensemble da camera che accompagna gli incantevoli arpeggi alla chitarra di St John, arricchendoli con un intreccio di fiati e archi che conferiscono pienezza a ciascun brano, senza tuttavia offuscarne il lirismo.
Un brano come Seagull-Sunday rappresenta il perfetto esempio di questo contrasto: nell’energica apertura della canzone spicca la ricchezza degli archi, sui quali poco dopo si innestano la chitarra e il sublime cantato di St John mutando in poche battute il mood dell’intero pezzo. The Pebble and The Man, di Donovan, viene interpretata in modo così personale da far quasi dimenticare l’originale, mentre composizioni come If You’d Been There e City Crazy strizzano già l’occhio al progressive folk à la Shirley Collins.
Ciò che maggiormente colpisce nell’ipnotico folk di Bridget St John è la grazia fuori dal comune della quale sono intrise le sue canzoni. Brani che però, al contempo, sembrano percorsi da una sorta di inquieto splendore che conferisce loro una sensualità un po’ ingenua, ma non meno affascinante.
Tutto questo è Songs for The Gentle Man, un disco di quelli che restano, una gemma oscura di folk psichedelico e barocco di cui il tempo non ha scalfito la bellezza.
Lucilla Chiodi è una giornalista. Scrive di musica per il mensile Musica Jazz e fa pugilato. Ha un gatto di nome Manouche.
Gli altri dischi del 1971.
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