75 gradi Fahrenheit e sole a New York il giorno in cui Graham Nash risponde al telefono dalla sua casa di Manhattan Beach. Da qualche anno ha lasciato le Hawaii e la California dove per decenni ha vissuto con la moglie e i tre figli. Poi il divorzio, dopo 35 anni di matrimonio e l’inizio di una nuova relazione con la fotografa Amy Grantham. Sua è la foto di copertina di This Path Tonight, il suo album del 2016, e della nuova raccolta Over The Years.
Messe a confronto le due copertine non potrebbero essere più emblematiche: la prima lo ritrae di spalle, intabarrato, mentre cammina in un bosco nei pressi di Woodstock, un uomo anziano nel mezzo di una selva oscura. La seconda è un bambino che con il binocolo osserva un paesaggio suggestivo di montagne, laghi e nuvole. Tu chiamala se vuoi rigenerazione. Nuovo amore, nuova città, nuova vita e nuovo tour che lo porterà anche in Italia: 30 giugno in Val di Fassa (TN) per I suoni delle Dolomiti, 1 luglio a Recanati (MC), 2 luglio alla Casa del Jazz di Roma, 4 luglio al Pistoia Blues Festival e 5 luglio a Villa Arconati, Milano.
Dopo quasi sessant’anni di carriera, l’inesauribile passione per la musica di Graham Nash ha qualcosa di prodigioso, a cominciare dal fatto che ancora va in tour e concede interviste. Interrogato in proposito, la sua risposta è candida: «Il mio segreto è che sono un essere umano con dei sentimenti che vuole esprimere attraverso l’arte, e principalmente per me significa la musica».
L’antologia Over the Years screma dalla discografia come CSN, CSN&Y, da solista con il magnifico Songs For Beginners (Military Madness, Simple Man, Better Days, I Used To Be King) fino all’ultimo This Path Tonight, presente con Myself At Last, un brano-manifesto dell’ultimo Nash alla luce dei recenti eventi personali. Ci sono naturalmente anche brani dai dischi con David Crosby, al quale dedica molte pagine accorate della sua autobiografia Wild Tales, narrandone le prodezze sessuali, la generosità e la devastante tossicodipendenza, ma soprattutto la magia della loro collaborazione musicale: «Io ho una voce da inglese del nord, molto semplice, non complicata, forse con un’ampiezza maggiore di quella di Crosby – scrive nel libro – il che rende le nostre voci come l’olio e l’aceto. In teoria è una combinazione che non dovrebbe funzionare, ma se le agiti ottieni una vinaigrette».
Come ha selezionato le canzoni della nuova raccolta «Over The Years»?
Mi sono accorto che anche se ho scritto la maggior parte dei nostri singoli, non esisteva un greatest hits delle mie canzoni. Ho messo insieme quindici delle mie canzoni di maggior successo a cui ho aggiunto quindici versioni demo che il pubblico trova affascinanti.
«Wild Tales» è una lettura avvincente, che mantiene la promessa del titolo a differenza delle autobiografie di alcuni suoi colleghi. Confesso di non essere riuscita a finire quella di Neil Young.
Nemmeno io.
Come mai ha deciso che era ora di mettere nero su bianco la sua vita?
Mi sono accorto che i miei figli sanno chi sono, mi hanno accompagnato in giro per il mondo durante i miei tour, ma i miei nipoti non sanno niente di me. Il più grande ha appena sei anni. Grazie al libro forse capiranno chi è il loro nonno. Raramente penso al passato, perché c’è molto poco che si può fare per cambiarlo. Mi interessa molto di più il concerto che farò domani o la canzone che sto scrivendo in questo momento, ma ho ancora una grandissima passione per la musica. Verrò in Italia con il mio chitarrista Shane Fontayne e il tastierista Todd Caldwell, alcune canzoni che suoneremo sono state scritte cinquant’anni fa. Sarà una bella serata intima.
In «Chicago» cantava «We can change the world, rearrange the world». Ci crede ancora?
Sì, credo ancora che la musica possa cambiare il mondo. Sono convinto che l’azione più piccola possa farlo. Penso che la musica possa far riflettere su cose che altrimenti passerebbero inosservate nella vita quotidiana. I musicisti devono fare due cose: dire il più possibile la verità e riflettere sui tempi che viviamo, soprattutto adesso con l’amministrazione Trump negli USA, molto simile agli anni di Nixon con il Watergate. Ma sono sicuro che questo grande paese di cui sono cittadino da oltre trent’anni meriti di meglio di Donald Trump e personalmente non vedo l’ora che se ne vada. Ho ancora una grande voglia di dire quello che penso e negli Stati Uniti posso farlo. Ovviamente la gente ha il diritto di non starmi a sentire: del resto io non ho risposte, ma di sicuro ho molte domande.
Una cosa che colpisce nel suo libro è la fluidità delle relazioni sentimentali. Oggi i costumi sessuali sono cambiati in senso più restrittivo.
L’amministrazione Trump sta riportando la condizione delle donne indietro di cinquant’anni. Le donne hanno il diritto di gestire il proprio corpo.
Da espatriato come guarda alla situazione del Regno Unito?
Devo confessare di non essere più molto interessato alla situazione politica europea, perché vivo negli USA da circa cinquant’anni. Non mi sembra una mossa intelligente quella di abbandonare l’Unione Europea. Non mi sono mai piaciuti i confini, le bandiere, gli stati. Viviamo sullo stesso pianeta e siamo lo stesso popolo. Prima ce ne rendiamo conto, meglio è.
Ascolta molta nuova musica?
Da quando siamo tornati in possesso del nostro catalogo dopo la controversia con la Warner Music, ho accesso agli archivi di quarantacinque anni di lavoro, motivo per cui non ho ascoltato molta nuova musica di recente. Ma se c’è qualcosa di buono in giro, finisce sempre nel mio computer. Ad esempio This is America di Childish Gambino: una canzone e un video eccezionali!
Forse la parola più ricorrente nel suo libro è armonie, più ancora di sesso e droga. Come descriverebbe cantare armonie a un alieno?
Wow! E’ una domanda che non mi hanno mai fatto. Se un alieno riesce ad arrivare sulla Terra deve disporre di una tecnologia molto sofisticata e immagino che la musica faccia parte delle sue conoscenze. Se David, Stephen e io avessimo cantato armonie in tre parti all’alieno, gli sarebbero piaciute di sicuro!
(pubblicato su Il Manifesto del 24 giugno 2018)