Il Regno Unito non rientra più nel mio piano tariffario, mi informa l’operatore. A livello personale è il primo effetto negativo della Brexit, ma tanto Sam Lee è in ritardo sull’orario concordato per l’intervista. Di circa due ore, per l’esattezza. Quando poi riusciamo a parlare, intuisco anche il motivo della latitanza. Avrà perso tempo con qualche allodola, un uccello così tipicamente inglese che The Lark Ascending, la composizione di Ralph Vaughan Williams, è diventata la rappresentazione musicale del paesaggio albionico, tutto ruscelli gorgoglianti, covoni di fieno e allodole, appunto. È anche il titolo scelto per un recente libro di Richard King che indaga come quel rapporto misterioso tra musica e natura ha plasmato l’identità britannica.
Un discorso che a Sam Lee calza a pennello. Intanto perché si ritiene prima un ambientalista e un attivista, poi un cantante folk. Considera Shirley Collins, la Gran Dama del folk britannico, la sua terza nonna e Greta Thunberg una grande fonte di ispirazione: «Non sono ottimista circa il nostro futuro dal punto di vista ambientalistico, ma ho fiducia nei giovani perché sono molto informati. Greta è alla guida del movimento a favore di un cambiamento radicale, è una persona meravigliosa».
Per essere un musicista nel solco della tradizione folk britannica, i suoi dischi finora spiccavano per la totale assenza di chitarre. Ground Of Its Own (2012) e The Fade In Time (2015) sono un tripudio di trombe, scacciapensieri, violini, banjo, shruti box, violoncello, ukulele, koto, zufolo. Le chitarre sono arrivate solo con il terzo disco, Old Wow, uscito a gennaio per Cooking Vinyl. Il titolo è frutto di un’illuminazione che Sam Lee ha avuto sulla cima di un monte in Scozia, dove era andato per riflettere sul suo rapporto con la natura, un po’ come quando due vecchi amanti decidono di fare terapia di coppia. In quel momento di crisi esistenziale una poiana si è messa a volare sopra la sua testa, strillando per richiamare la sua attenzione. «Old Wow!», ha esclamato Sam, «deve essere la Natura che mi rassicura del suo potere magico». Da quel momento l’espressione è diventata sinonimo del sentimento di meraviglia e unione spirituale che la natura è in grado di suscitare.
Tornando alle chitarre, nel nuovo album le suona l’ex Suede Bernard Butler, produttore del disco. Sam Lee confessa che sono state ammesse «solo perché Bernard le suona in modo così bello e sensibile che quasi non ti accorgi che sono chitarre».
Dopo l’incontro epifanico con la poiana, qual è stata l’ultima volta che hai avuto un momento Old Wow? «Proprio questa mattina», risponde. «Per alcune date del tour, il giorno dopo organizzo delle passeggiate guidate. Stamattina eravamo in una riserva naturale, nel Parco Nazionale dei Downs a Brighton, e per la prima volta quest’anno ho sentito cantare un’allodola. Volava sopra le nostre teste e noi siamo rimasti incantati ad ammirare quello spettacolo». Due ore di ritardo.
Anche John Constable, il grande paesaggista inglese, andava a passeggiare nei Downs. Prima di lui, nei quadri la natura era solo lo sfondo degli eventi umani o religiosi. Per Constable invece è il mondo in cui viviamo a essere straordinario, mentre l’uomo è una creatura insignificante in confronto all’immensità della natura. Quale pittore rappresenta la musica di Sam Lee? «Da bambino ero innamorato di Constable! Nella cameretta avevo un poster gigante della Cattedrale di Salisbury vista dai campi. Ho imparato a dipingere studiando i suoi quadri. Era un grande pittore della bellezza e della dimensione religiosa della natura. A vent’anni ero molto coinvolto emotivamente da Cézanne, per l’amore con cui ha dipinto i paesaggi della Provenza. L’artista che secondo me cattura gli aspetti più entusiasmanti della natura è Joseph Beuys, che usava spesso materiali organici come feltro, lana, grasso animale. Ma la mia più grande fonte di ispirazione sono le pitture rupestri di Chauvet e Lascaux: ne sono completamente innamorato!».
In Old Wow c’è un’ospite straordinaria, per la sua voce e per il fatto che raramente collabora con qualcuno: Elizabeth Fraser, ex cantante dei Cocteau Twins. «Liz mi ha telefonato per dirmi che sarebbe venuta a un mio concerto in un piccolo villaggio di campagna. Ha attraversato mezza Inghilterra per venire a sentirmi. È innamorata delle canzoni folk e le piace la mia musica. L’ho invitata a Singing with Nightingales, i concerti che faccio nella foresta in cui cantiamo con gli usignoli. Quando ho iniziato a lavorare a Old Wow, cercavo qualcuno per cantare una parte in The Moon Shines Bright. Elizabeth ha sentito il pezzo e ha accettato. Canta un frammento della ballata scozzese Wild Mountain Thyme».
C’è un’altra donna molto importante nel disco: chi è Freda Black? «È una gipsy inglese, ha novantatré anni ed è la memoria storica delle canzoni cantate dalla sua famiglia. Sono rimasti in pochi ormai, Freda è quasi una specie estinta. Non ha mai inciso un disco e come cantante è sconosciuta al di fuori del suo clan. Negli ultimi otto anni l’ho registrata spesso per far conoscere le sue canzoni a un pubblico più ampio».
In alcuni brani come Lay This Body, anche per gli arrangiamenti, sembra di sentir cantare Scott Walker. «Adoro Scott Walker! Mi fa piacere l’accostamento, anche se per me è in Spencer the Rover che canto come lui». Nella tracklist c’è The Garden of England, la prima canzone documentata da Cecil Sharp, il padre del folk revival inglese. Come hai scelto le canzoni del disco? «Sono loro a scegliere me. Il primo giorno in studio alle dieci del mattino ho ricevuto una telefonata: era la madre di mio figlio che mi annunciava di essere incinta. Sono scoppiato in lacrime, ridevo e piangevo, ho dato la notizia ai miei musicisti, abbiamo iniziato a suonare e le canzoni sono venute da sole, una dopo l’altra. The Garden of England (Seeds of Love) era fra quelle, ma sentivo di doverla riscrivere per aggiungere qualcosa di più personale».
«Il mio gruppo preferito è il Canzoniere Grecanico Salentino», risponde quando gli chiedo se conosce il folk italiano. «Adoro la tarantella e ho invitato Mauro Durante a cantare con gli usignoli. Le canzoni folk ci tramandano i mezzi che gli antichi usavano per entrare in contatto con la terra e mostrare amore e rispetto. Oggi più che mai quelle canzoni devono guidarci e dirci che cosa fare in un’epoca in cui la natura è seriamente in pericolo».
pubblicato su Il Manifesto del 15 marzo 2020