Mi giro a guardare l’orizzonte un’ultima volta e poi nuoto verso la riva. Lascio che un’onda gentile mi depositi sulla sabbia fredda, fatta di miliardi di miliardi di minuscoli frammenti di conchiglie. Mi infilo i vestiti senza perdere tempo ad asciugarmi. Mi arrampico sui grandi massi di granito e salgo su per il sentiero. Il viottolo è invaso dal caprifoglio e l’aria profuma di noce moscata.
L’anno scorso ho realizzato un sogno che aspettava da una vita. Sono tornata in Inghilterra dopo molti anni e ho fatto un blitz in Cornovaglia. Solo tre giorni, un assaggio appena, ma è stato un altro viaggio in solitaria che non dimenticherò. Come quello fino a Wuthering Heights e nel Distretto dei Laghi negli anni ’90, e quello in auto in Irlanda, da Galway fino a Derry, passando per il Connemara, Sligo e Donegal. Guidare in Irlanda ti prepara a guidare in Cornovaglia ma solo un po’. In entrambi i casi ricordo la sensazione di disperazione dopo essere salita in macchina e la certezza che non ce l’avrei mai fatta a uscire dal parcheggio. All’autonoleggio di Heathrow la sensazione è stata ancora peggiore perché ero arrugginita dopo molti anni statici, senza uscire dall’Italia e, quasi, dal Grande Raccordo Anulare. Avevo due navigatori, quello del cellulare e quello dell’auto, e quando dopo meno di un’ora sono arrivata alla prima destinazione, ho spento il motore, spossata, e sono andata direttamente al bar a ordinare un bicchiere di vino per celebrare. Small, medium or large?, la domanda era più spiazzante di certe rotatorie. Mi sono seduta fuori, ho assimilato il tripudio di fiori nei vasi, l’architettura Tudor del pub-locanda e la giornata di sole estivo. Nel mentre una vespa è finita nel vino, si è stordita, ma mi ha punto lo stesso il labbro (l’ho capito dopo, quando l’ho vista galleggiare nel merlot restante e l’ho collegata a quel doloretto inspiegabile al labbro superiore).
Ero molto in ansia quando da Wendover, alle 5 del pomeriggio di domenica, ho iniziato il viaggio verso Tintagel, sulla costa settentrionale della Cornovaglia. Sono arrivata alle 10 di sera, la casa era aperta, c’era un biglietto di benvenuto, le indicazioni per raggiungere la stanza, superata l’armatura di un cavaliere a guardia dell’ingresso, su per la scala di legno, un gargoyle mi osservava arcigno dalla finestra, in fondo a sinistra. Sul tavolino c’era un biscotto al cioccolato e uno sherry di benvenuto, l’ho scolato, ho chiuso a chiave la porta e mi sono infilata sotto il duvet nel letto a baldacchino. Avevo la stanza Sir Kay, il fratellastro di Re Artù, che fra i suoi superpoteri aveva quello di poter resistere nove giorni e nove notti senza respirare o dormire, di crescere quanto il più alto degli alberi e di emanare un caldo soprannaturale dalle mani.
Alla fine è andato tutto bene, ho percorso stradine a doppio senso di circolazione in cui c’era a malapena spazio per un’auto sola, con le curve e le siepi, praticamente alla cieca e quindi guidando a 10 km all’ora con il terrore che, schivato un frontale, avrei comunque dovuto fare retromarcia. Ho fatto 700 miglia e nemmeno un graffio alla macchina. Sono stata a St Ives al faro di Virginia Woolf, ho visto le foche, sono arrivata alla fine del mondo e ho fatto un bagno di gong prima di ripartire. Ho mangiato aragosta, ostriche e sandwich al salmone e ho preso il cream tea. Mi sono fatta selfies sulle scogliere, ho fotografato centinaia di scorci incantevoli, non ho resistito ai negozietti di souvenir.
Qualche tempo dopo essere tornata, mi hanno chiesto di tradurre Homesick di Catrina Davies. Ho pensato che gli ero venuta in mente per le foto della Cornovaglia: le spiagge caraibiche, le foche, le rovine di castelli arturiani, le scogliere, i villaggi da cartolina. Ho letto il libro d’un fiato e ho sentito un senso di colpa crescente. Secondo l’autrice, fare turismo in Cornovaglia è una pessima idea per l’economia della regione, che è povera, carissima e in mano alle classi privilegiate: i lord che possiedono isole, castelli, spiagge e migliaia di acri di terreno su cui non pagano tasse, e i proprietari immobiliari, che per quelle seconde e terze abitazioni ricevono sussidi statali, esenzioni e benefit fiscali. Tutti quei cottage graziosi e pittoreschi fruttano un patrimonio che fugge altrove, mentre la gente del posto deve accontentarsi di lavori umili e stagionali al servizio dei vacanzieri, gente stressata che dalle città si riversa nei villaggi e nelle stradine, le intasa, fa sballare i servizi e le strutture, un popolo di invasori. Lo sono stata anch’io durante quei tre giorni e adesso sono qui per diffondere il Verbo. (continua)
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