Che ci fanno la detective Stella Gibson, un arsenale domestico di percussioni, il giudice Brent Kavanaugh, un coro di cani, le Rockettes, fragole, piselli, fagioli, Kate Bush e dei cosmonauti nello stesso disco? È semplice: Fiona Apple è tornata e il suo grido di battaglia è “Prendimi le tronchesi”. Per farci che? Nella serie tv The Fall, la detective interpretata da Gillian Anderson ci taglia il lucchetto per aprire la stanza dove una donna è stata torturata. Fiona Apple a liberarsi ci pensa da sola e dopo aver spezzato le catene che in quarantatré anni di vita l’hanno tenuta imprigionata, corre su per la collina, quella di cui cantava Kate Bush. Da lassù comincia a parlare e di cose da dire ne ha parecchie.
Fetch the Bolt Cutters, uscito in digitale il 17 aprile, è un concept album non dichiarato. Tutto il disco parla di non aver paura di parlare. Sebbene privo degli stratagemmi narrativi di solito associati ai concept, è un disco che trova il suo filo rosso nel contenuto e nella modalità espressiva. Le liriche – confessioni, sfoghi, invettive di una ex che fa i conti con se stessa e il suo passato – diventano nell’arco delle tredici canzoni una struttura con un’evoluzione narrativa che si regge grazie alla simbiosi tra mezzi espressivi, interpretazione e performance. Per questo è superfluo parlare degli arrangiamenti o dei singoli musicisti, e perfino di generi. È un disco molto percussivo, più ritmico che melodico, pianoforte incluso, in cui la voce è in primo piano e il resto dietro. Quando abbandona le parole, la voce di Fiona Apple è uno strumento che allude a Meredith Monk (nel finale di I Want You To Love Me), scivola nel vocalese, nello spiritual (Relay), nel gospel (For Her), nell’r’n’b (Heavy Balloon). Altrove esulta nei cori, libera, potente, arrabbiata: una voce che non si fa zittire, che si appoggia al e dialoga con il basso e le percussioni, mentre scaglia versi e rime come una rapper affilatissima. Dalle sue prodezze linguistiche emergono versi nitidi e taglienti: “Evil is a relay sport, when the one who’s burned, turns to pass the torch” (Il male è una gara a staffetta quando chi si è bruciato si gira e passa la torcia), “I resent you presenting your life like a fucking propaganda brochure” (Mi irrita che fai passare la tua vita per un cazzo di volantino di propaganda) o l’esemplare ma purtroppo intraducibile “I would beg to disagree but begging disagrees with me”.
Le liriche rivendicano l’assertività, il desiderio di liberarsi dalle costrizioni, altrui e autoimposte: “È inutile che continui a darmi calci sotto al tavolo, non chiudo la bocca” (Under the table); di espandersi, strabordare, aprirsi alla vita: “Mi allargo come le fragole, mi arrampico come i piselli e i fagioli, ho trattenuto il fiato così a lungo che sto scoppiando” (Heavy Balloon); cercano una sorellanza nelle compagne di sventura, donne usate, maltrattate e abbandonate (Newspaper, Ladies); parlano con crudezza di attualità: “Mi hai stuprata nello stesso letto in cui è nata tua figlia” (For Her, scritta in risposta alla nomina di Brett Kavanaugh alla Corte Suprema degli Stati Uniti). Di bello c’è che Fiona Apple guarda al futuro con ottimismo.
Come i cigni nei canali di Venezia, le anatre nella fontana della Barcaccia a Roma, le lepri a Milano, i tassi a Firenze, gli aironi rosa a Cagliari e i delfini nei nostri porti, il ritorno di Fiona Apple avviene in circostanze eccezionali. Del resto di ordinario lei non ha mai avuto niente: è la regina dell’autoisolamento fin da tempi non pandemici e lascia la sua casa di Venice Beach solo per portare il cane a fare una passeggiata in spiaggia.
Fetch The Bolt Cutters è un disco talmente fatto in casa da dare un significato del tutto nuovo all’espressione let’s play house: Fiona Apple ha letteralmente suonato casa sua, inventandosi un’orchestra di percussioni indoors che comprende anche l’urna con le ceneri di Janet, la cagnolina morta nel 2012. La sezione canina del disco non è rappresentata solo da lei: sono accreditati altri cinque cani, due di proprietà dell’attrice Cara Delevingne, che canta nella title-track. Poi ci sono i musicisti con cui collabora da anni: Amy Aileen Wood alla batteria, Sebastian Steinberg al basso (già nei Soul Coughing) e Davíd Garza alla chitarra. Una task force snella in un ambiente circoscritto, considerando che uno dei progetti iniziali era un concept album ispirato a Pando, il bosco di pioppi tremuli nello Utah, che costituisce un unico e gigantesco organismo vivente.
Per la coerenza dell’ispirazione e la determinazione nel portare a compimento una visione artistica, Fetch The Bolt Cutters richiama altri dischi nati sull’onda di un felice e laborioso flusso creativo: Hounds of Love di Kate Bush, Let England Shake di PJ Harvey, Have You in My Wilderness di Julia Holter, Have One On Me di Joanna Newsom, Lemonade di Beyoncé, The Miseducation of Lauryn Hill e Don Juan’s Reckless Daughter di Joni Mitchell.
Un disco in cui l’artista esercita un controllo totale. Forte della coerenza di ciò che ha ragione di esistere, non si cura di camuffare le imperfezioni quando nell’ultima canzone On I Go inciampa e perde l’entrata sul beat, la sottolinea con un fuck, shit! e va avanti: “Vado avanti, non verso qualcosa, non vado via. Finora vivevo alla giornata, mi affannavo a dare prova di me, ma adesso mi muovo solo per muovermi!”. Non ti fermare, Fiona.
(pubblicato su Il Manifesto del 26 aprile 2010)