«Bisogna sempre tenere una cipolla in casa, casomai dovessi cucinare qualcosa». Di tutte le persone al mondo, Nico è l’ultima a cui si penserebbe di attribuire questa citazione che, a differenza di molte leggende che la riguardano, stranamente è vera. La scena della fellatio a Jim Morrison in ascensore nel film di Oliver Stone sui Doors invece è falsa ed è un esempio tipico di distorsione della sua immagine: da artista a groupie. Quando si tratta di Nico, più si cerca di avvicinarsi alla verità, più si amplia il divario tra i miti consolidati, i pochi fatti documentati e i ricordi personali di coloro che l’hanno conosciuta. È a loro che si è rivolta Jennifer Otter Bickerdike, storica della cultura rock and roll, specializzata in fenomeni di fandom, per scrivere You are Beautiful and You are Alone, The Biography of Nico (appena pubblicato da Faber & Faber).
Il titolo viene da un verso di Afraid, una delle canzoni più strazianti di Desertshore, il suo terzo album solista (1970). Il libro è frutto di oltre un centinaio di interviste e di parecchi mesi trascorsi in archivi polverosi, a caccia di fatti inediti nascosti in vecchi microfilm. Da quella lunga e appassionata ricerca emerge «un esempio paradigmatico di misoginia apatica e di stereotipizzazione da parte della storia scritta, una narrazione pigramente adagiata sul già noto, il salace e i prevedibili scenari di sesso droga e rock and roll, senza tenere minimamente in considerazione le circostanze eccezionali e spesso inquietanti della sua vita. All’inizio mi sembrava semplicistico spiegare il pantano che separava le due versioni di Nico in base alla sua nazionalità, alla misoginia e alle aspettative culturali. Invece più cose scoprivo su di lei, più quella spiegazione risultava ovvia», scrive l’autrice nell’introduzione.
Modello inedito di superstar femminile, di una bellezza sconcertante, algida, poliglotta e purtroppo tedesca nel secondo dopoguerra, Nico (Colonia, 1938 – Ibiza, 1988) ha attraversato il mezzo secolo di storia più tragico e straordinario dell’umanità. Fuggì da Berlino a Parigi per lasciarsi alle spalle gli orrori della Germania nazista e postbellica, fu modella per Chanel e attrice per Fellini, musa di turno per Andy Warhol e per molti anni musicista itinerante costretta a tour massacranti (oltre 1200 concerti tra il 1982 e il 1988) per sfamare la sua tossicodipendenza. Visionaria, incompresa e angosciata, Nico è un’artista tremendamente attuale: ascoltare i suoi album nel 2021, durante la seconda estate pandemica, con il pianeta in fiamme, mentre molti di noi continuano a vivere in condizioni di ridotta socialità, è un’esperienza rivelatrice.
Il prossimo autunno arriveranno due omaggi ai Velvet Underground: I’ll Be Your Mirror: A Tribute to the Velvet Underground & Nico (l’ultimo progetto discografico di Hal Wilner) e il documentario di Todd Haynes presentato a Cannes. A completare il quadro si aggiunge questa nuova biografia dedicata alla donna senza la quale il gruppo non sarebbe mai esistito, «una dea teutonica che sembrava arrivata a New York a bordo di una nave vichinga, con quello strano modo di parlare, come un computer IBM con l’accento di Greta Garbo» (Andy Warhol).
«Nico era i Velvet Underground», dice Jennifer Otter Bickerdike. «Nell’album canta le canzoni più memorabili, è a lei che penso quando guardo la copertina con la buccia di banana. Andy Warhol non sbagliava quasi mai e di certo ha fatto la cosa giusta mettendola nella band. Warhol non avrebbe mai investito nei Velvet senza Nico, il suo ruolo è stato cruciale. Purtroppo tra lei e il resto del gruppo c’era un risentimento reciproco a causa delle divergenze sui ruoli, ma è quella tensione a fare la grandezza del disco».
«Una frase che mi sentivo ripetere spesso mentre lavoravo al libro – continua l’autrice – era: “Nico è vissuta molto più a lungo di quanto meritasse”, un’affermazione orribile ma molto significativa. Le persone belle, famose e di talento devono morire giovani, invece lei ha osato vivere fino a quasi cinquant’anni». La bellezza è stato il dramma della sua vita: quello che era un passaporto per il mondo è diventato una trappola esistenziale, una condanna. Cominciò a cambiare look subito dopo i Velvet Underground per sfuggire alla persona che le era imposta e nei lunghi anni da eroinomane ha cercato metodicamente di imbruttirsi, nonostante tutto riuscendoci solo in parte. Dai fantasmi del passato invece non si è mai affrancata: i treni che vedeva passare da bambina diretti ai campi di sterminio, il padre arruolato nella Wehrmacht e soppresso perché diventato inabile dopo essere stato ferito, lo stupro da parte di un soldato americano quando era ragazzina, gli orrori quotidiani nelle strade di Berlino.
Il sessismo di cui parla Otter Bickerdike si ritrova nelle provocazioni del riverito poeta punk John Cooper Clarke («Se non vendiamo abbastanza dischi, saremo costretti a farti battere per strada») o nelle recensioni incentrate sul suo deterioramento fisico anziché sul disco: «… il volto pallido e incipriato, in cui i bozzi e gli avvallamenti disegnano una mappa dei rilievi dell’età moderna. Sotto tutto quel grasso c’era il viso che un tempo conosceva. Che aspetto terribile aveva adesso», scriveva Don Watson a proposito di Camera Obscura per il settimanale NME.
La misoginia non è solo maschile. «Ho ricevuto diverse critiche negative da parte di donne perché il mio libro ha un impianto femminista e parlo di Nico in relazione alle questioni di genere. Ma se non si parla del genere di Nico, non si affronta la situazione reale: perché dovrebbe essere un difetto avere una prospettiva femminista su Nico nel 2021? È stata trattata in modo disgustoso da molte persone. Il fatto di essere nata durante il Nazismo deponeva a suo sfavore, molti la guardavano dall’alto in basso perché non aveva studiato, una mancanza a cui lei cercava di rimediare leggendo in modo vorace classici della letteratura, da Faulkner a Wordsworth, Coleridge, Blake. Allo stesso tempo non la definirei una vittima, ma una persona nata e vissuta in circostanze difficili. Un aspetto che non viene mai menzionato è che era molto disciplinata. Una Baines (tastierista dei Fall, ndr) che è andata in tour con lei e il suo manager me l’hanno confermato: era molto professionale e responsabile, si presentava sempre ai concerti, ma questo non rientra nella narrazione di Nico la tossica votata all’autodistruzione».
Ohne festen Wohnsitz, senza fissa dimora, c’era scritto sul suo passaporto. «Nico era sempre in viaggio ma non trovava mai pace. Gli anni vissuti a Manchester – dice l’autrice – sono stati il periodo relativamente più sereno, in cui è entrata in contatto con il suo vero io e ha provato a essere ciò che voleva. Non dico che abbia realizzato il suo potenziale, ma perlomeno riusciva a vedere oltre ciò che era lecito aspettarsi. La sua morte improvvisa mette molta tristezza perché avrebbe potuto compiere il passo successivo nella vita e nella carriera». Se fosse vissuta un altro anno avrebbe assistito alla caduta del muro di Berlino. «Le sarebbe piaciuto molto. Nico aveva un gran senso dell’umorismo, era molto divertente. Se fosse viva oggi, sarebbe fenomenale su Twitter!». (pubblicato su Il Manifesto del 15 ottobre 2021)