The Quiet Man, un uomo tranquillo, è una commedia del 1952 diretta da John Ford, con John Wayne e Maureen O’Hara. Ambientata negli anni Venti, racconta di un ex pugile irlandese che dagli Stati Uniti decide di tornare a Inisfree per comprare la vecchia fattoria di famiglia. Appena arrivato si innamora della rossa Mary Kate, sorella del bullo locale eccetera eccetera. Il film racconta un’Irlanda ideale in una comunità fittizia (da cui il richiamo a Innisfree di Yeats), con una galleria di stereotipi a uso e consumo del pubblico americano, in cui l’azione progredisce a suon di cazzotti.
Niente di tutto questo in The Quiet Girl, il film di Colm Bairéad ambientato nel 1981. Chissà se il riferimento al film di Ford è voluto, ma è meraviglioso che l’equivalente del cowboy/pugile John Wayne sia una bambina dal viso luminoso e austero, che vive in una fattoria in malora e in una famiglia brutale: il padre fedifrago, scommettitore e alcolista, la madre sempre incinta, l’amore filiale assente, la vita ruvida e primordiale. Cáit è una bambina «strana», parla poco e mangia tanto, dice il padre quando come un pacco la scarica a casa di parenti della moglie, in una bella fattoria dove passerà l’estate. Non combinare guai come al solito, le dice, imprimendole il marchio del suo essere sbagliata prima di andarsene. «Chi è lei delle quattro?», chiede una donna che Cáit non conosce (ma noi sappiamo chi è) al padre. «È la vagabonda», risponde lui.
La famiglia che l’accoglie ha conosciuto la brutalità della vita – lo scopriremo lentamente – ma dalla catastrofe è uscita rialzandosi con la forza dell’umanità, del lavoro, dell’accettazione. Quella bambina trascurata, denutrita spiritualmente e sola, è un dono che la donna tratta con delicatezza e rispetto, contando i cento colpi di spazzola, insegnandole i lavori quotidiani. L’uomo è più ruvido e diffidente – ognuno porta dentro di sé il suo dolore per lo stesso dolore – ma dopo un esordio brusco, fa un gesto di avvicinamento lasciandole un biscotto sul tavolo, come si farebbe con un cucciolo maltrattato. È colui che le compra vestiti nuovi («Non posso portarla in chiesa vestita così!», dice esasperato alla moglie), che stabilisce con lei un rapporto più fisico (il lavoro quotidiano nella fattoria, le corse cronometrate per prendere la posta) e sinceramente filiale.
Le immagini sono lente, i dialoghi rarefatti, la fotografia splendida racconta un paese rurale, tradizionale dove il tempo scorre quasi immobile. L’Irlanda è un paese ancestrale come nelle favole, (c’è anche un pozzo magico e pericoloso), in cui non succede molto fino a quando durante un dialogo tutto esplode: scopriamo il passato della famiglia, eviscerato con metodica crudeltà da una vicina curiosa, invidiosa, pettegola e maligna. È uno squarcio improvviso nella nuova quotidianità serena di Cáit, che con severa compostezza lo assimila e lo elabora, insieme ai due adulti che si dimostrano capaci di svolgere il loro ruolo.
Ma le vacanze estive finiscono, Cáit deve tornare a casa e ricominciare a vagabondare in silenzio. Nel frattempo è cresciuta – le uniche parole che le dice la madre biologica al ritorno – e ha conosciuto una famiglia vera. Grazie a lei, la sua nuova famiglia sa che le tragedie non si ripetono necessariamente come una condanna senza appello, e ciò che è accaduto possiamo consegnarlo al passato per aprirci ad accogliere il nuovo.
Tratto da un racconto di Claire Keegan intitolato Foster, The Quiet Girl è il primo film in gaelico a essere candidato all’Oscar come miglior film internazionale, e il primo ad aver incassato un milione di euro nei cinema irlandesi e britannici. A parte questo, è poetico, commovente, vero, e si schiude come il fiore ruvido della vita dentro ai nostri cuori che hanno conosciuto il dolore.
(Qui il regista racconta una scena e l’estetica del film).