Expat rock
(continua dalla prima parte) Valentina Ridolfi vive da quindici nel Paese Basco. Musicista lei stessa, è un’osservatrice attenta della scena musicale basca ed è titolare di un’agenzia di booking e produzione di concerti. «In questi anni c’è stato un boom che dal rock radicale basco ha portato a un incremento di nuovi gruppi, principalmente indie rock, ma anche suoni nuovi e perfino molto commerciali (trap, reggaeton), mantenendo spesso un’identità locale anche grazie all’utilizzo dell’euskera», dice Ridolfi. «Esempi di fusione diventata commerciale sono Dupla e Chill Mafia, mentre legati di più al panorama indie potrebbero essere Amorante, Libe, Arima, e tendenti ancor di più verso il rock scuro e più strumentale, Lisabö, Gailu e Inoren Ero Ni. Una delle caratteristiche dei musicisti baschi è la collaborazione, la condivisione dei progetti musicali. È frequente che lo stesso musicista suoni in diversi gruppi, come fanno Joseba Irazoki, Joseba B. Lenoir, Felix Buff (Rüdiger), MICE e molti altri. Si creano sinergie a partire da un gruppo, che poi sfociano in collaborazioni solide ed eterogenee. L’ambiente è molto creativo, di reciproco sostegno nell’ambito indie-underground, lontano dal mainstream. Come se l’ego venisse messo da parte in nome del cooperativismo basco.
Una parola da imparare: gatztetxeak
Oltre ai gatztetxeak (centri sociali autogestiti) è fondamentale il ruolo di associazioni, festival di musica indipendenti (Gernikako Lekuek, Orozko Rock, Areatza Music & Beer, Beratu Jaialdia, EHZ Festibala) e di numerosi eventi minori, senza sponsor, che privilegiano la qualità musicale al mainstream. Persistono realtà indipendenti che organizzano musica dal vivo, come Astra a Gernika, Psilocybe a Hondarribia, Bonberenea a Tolosa. Ho deciso di aprire la mia agenzia proprio per la quantità di concerti ed eventi che si organizzano, spesso e volentieri dal basso, più che a livello municipale o privato. C’è tanto fermento e tanta voglia di fare. Spesso le iniziative scemano con il tempo per mancanza di ricambio generazionale, ma continuano ad esistere realtà autogestite nella pluralità (gruppi di pensionati che possono condividere lo stesso spazio con gruppi LGBTI+Q, femministi, ecc.). Tutto ciò è in forte contrasto con i macro promoter come Last Tour (che organizza il festival BBK Live di Bilbao). Qui i comuni spesso appoggiano i progetti autogestiti, concedono spazi, lasciano fare».
Fuori altri nomi
Uno degli artisti del suo roster è RÜDIGER (Felix Buff), batterista dei Willis Drummond, gruppo rock in pausa a tempo indeterminato. «Vengo dal punk rock e dalla musica alternativa basca, appartengo alla seconda generazione dopo i Negu Gorriak», dice. «La cultura punk è ancora molto presente, è quella dei gaztetxeak, gestiti tramite un’assemblea, luoghi che hanno fomentato la cultura a partire dagli anni Ottanta, quando la contestazione si organizzava intorno a eventi festivi», dice. «Nel gaztetxe c’è sempre un palco a disposizione, perciò non c’è bisogno di affittare una sala prove. Si lavora in gruppo senza dover presentare un progetto scritto al comune. Per me questo è il vero punk, fare le cose senza dover chiedere a nessuno come farle, ma insieme. C’è una forma di socialismo che ha a che fare con l’euskera e con il divieto di parlarlo durante il franchismo in Spagna, ma anche nella democratica repubblica francese. Qui la gente sa che lo stato può essere nemico, come il capitalismo selvaggio».
Un OVNI rock
Felix vive a Bera, in Navarra. È nato in Iparralde, è di madrelingua francese, parla tedesco (lingua paterna), inglese e castigliano; da anni studia l’euskera, la lingua che sua madre, basca francese, a scuola non poteva parlare: chi era sorpreso a usarlo doveva tenere in mano il “bastone della vergogna” finché non riusciva a passarlo facendo parlare euskera qualcun altro. Dicono che Rüdiger è un OVNI, che è come i francesi chiamano gli UFO, perché la sua musica è diversa. Nel nuovo album The dancing king ogni riferimento agli ABBA è voluto, «ogni canzone è un mondo, come nel Doppio Bianco dei Beatles». Paul McCartney per lui ha la voce di uno di famiglia: «Ha dei suoni che mi fanno sentire a casa. Lennon è più mentale, più rock, McCartney è più viscerale». C’è l’elettronica, un quartetto d’archi, il clarinetto basso, il flauto traverso, molti ospiti: «È un disco ear candy», dice Felix, ovvero popular music piacevole e accattivante ma intellettualmente impegnativa, un disco in cui lo studio di registrazione è di per sé uno strumento musicale.
Da Eibar a Bera
Felix è un fan entusiasta di MICE, la cantautrice Miren Narbaiza, di Eibar (la prima città a proclamare la seconda repubblica nel 1931, poi distrutta dai bombardieri italiani durante la guerra civile): «Secondo me è all’apice delle sue potenzialità, deve solo continuare a suonare per farsi conoscere e prima o poi sfonderà. Dal vivo è bravissima, molto elettrica». Consiglia di ascoltare i BORROKAN (in lotta), gruppo post rock-noise-hardcore, anche loro di Bera: «Suonano da venticinque anni, sono dei veterani ma hanno fatto solo tre dischi. Il chitarrista, Ibai Gogortza, ha un altro progetto, HARAT, suona con MICE e produce molti gruppi locali. All’inizio vendeva i cd solo nel bar del paese. “Se la gente vuole conoscermi, che venga qui e ascolti il mio disco”, diceva. Per fortuna sono riuscito a corromperlo e adesso sta su Bandcamp!».
Un’etichetta di Bilbao, la Forbidden Colours
Il disco dell’anno per Felix è Izpi di KE LEPO, musica elettronica minimalista, uscito per l’etichetta di Bilbao Forbidden Colours di Aitor Etxebarria, compositore di colonne sonore (tra cui quella per la prima serie prodotta da Pedro Almodóvar, Mentiras Pasajeras). È la stessa che pubblica Nabar, il nuovo album di MOXAL, al secolo Hannot Mintegia. «La gente di Madrid e Barcellona è stupita dalla nostra rete di gaztetxeak. Per me suonare a Madrid è difficile, mentre un gruppo madrileno trova facilmente ospitalità in uno dei nostri centri autogestiti», dice Moxal. Cresciuto con la ruvidezza del grunge (è nato nel 1978), fan di David Lynch, ma soprattutto di Thalia Zedek e dei Come, delle colonne sonore di Nick Cave e Warren Ellis, di PJ Harvey e John Parish, e del Neil Young più rumoristico (Le Noise e Dead Man Walking di Jim Jarmush), il suo lavoro principale è nell’audiovisivo, come regista, videomaker e montatore: «Grazie al mio lavoro, ho sviluppato una forma mentis che applico anche nelle canzoni: le immagino come una timeline che organizzo con degli spezzoni, li sposto, li ripeto, li sistemo finché all’improvviso tutto prende senso». Nabar di Moxal è un disco di contrasti, cupo e luminoso, in cui oltre a Thalia Zedek risuona il folk di Mikel Laboa («La sua influenza è una scossa che continua a vibrare»): Ridikulue inizia come una canzone folk e finisce ammiccando al drum & bass anni Novanta.
Un’altra etichetta, la Metak di Fermín Muguruza
Il gruppo di rock alternativo più prestigioso secondo lui sono i LISABÖ, di Irún. «Sono sei, tutti gli strumenti sono doppi – 2 batterie, 2 bassi, 2 chitarre e voci – e fanno un hardcore alla Fugazi. Molto impegnati, l’uscita di ogni loro disco è un evento; curano molto il formato fisico, i vinili sono fatti a mano». Più che un gruppo, i Lisabö sono uno stile di vita: come gli Shellac, incarnano l’etica e l’estetica dell’indie e suoneranno al prossimo Primavera Sound a Barcellona e Porto. «Grazie alla Metak (l’etichetta di Fermín Muguruza nata dopo Esan Ozenki)», prosegue Moxal, «la mia generazione ha potuto ascoltare musica basca di livello internazionale, come Anari, considerata la PJ Harvey di Euskadi. Un altro gruppo della Metak sono gli Ama Say, di Bilbao, sull’onda di Pixies, Sonic Youth, Yo la tengo, che mischiano euskera e inglese in modo geniale creando giochi di parole: il nome significa “mamma dice”, ma suona anche come “sedici” in euskera».
La chitarra di Joseba Irazoki
Oltre a quello di Fermín Muguruza, il nome più ricorrente è quello di Joseba Irazoki, da tutti definito «un gran chitarrista!» (riferimenti dichiarati: Marc Ribot, Bill Orcutt, John Fahey e Derek Bailey), che si muove tra sperimentazione e radici folk, come nel progetto Bas(h)oan con la voce dell’improvvisatore Beñat Achiary e di suo figlio Julen, percussionista. Nel suo gruppo Lagunak (amici) suonano Felix Buff, il bassista Jaime Nieto e il chitarrista Ibai Gogortza. Zu al zara? (sei proprio tu?) è un album di rock «psico-libertario» nei cui testi compare spesso la parola libertà: un omaggio agli anarchici Lucio Urtubia (una vera leggenda: amico di André Breton e Albert Camus, stampava traveller’s cheque contraffatti per finanziare la resistenza contro Franco) e José Buenaventura Durruti. Quarant’anni dopo, il legame con il RRV è ancora vivo.
(pubblicato su Alias del Manifesto del 16 marzo 2024)
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