Una Pasqua hard rock
C’è una sorpresa hard rock nell’uovo di Pasqua di quest’anno grazie al ritorno al cinema – il 25, 26 e 27 marzo – di The song remains the same, il film dei Led Zeppelin uscito in sala nel 1976 (in DVD nel 1999 e nel 2007 in versione arricchita). Per l’occasione la colonna sonora, il vero appeal dell’evento, è stata rimasterizzata dai componenti del gruppo. Il claim strepita: «Un film che rivela, visivamente e musicalmente, l’essenza della più grande e influente rock band del mondo». Il rock è sempre stato questione di chi ce l’ha più grosso, e qui di iperboli ce ne sono già un paio: sul primato come band e sui meriti del film.
Era dal 1969 che i Led Zeppelin pensavano a un documentario, ma i tentativi non avevano dato gli esiti sperati. Nel 1973 però erano impegnati in un tour americano di enorme successo, così il 20 luglio il manager Peter Grant contattò Joe Massot, un vicino di casa di Jimmy Page nel Berkshire, e su due piedi gli affidò le riprese. Massot mise insieme una troupe in tempo per le ultime date del tour e riprese i tre concerti al Madison Square Garden di New York del 27, 28 e 29 luglio. Il progetto, girato in pellicola 35mm e con suono quadrifonico a 24 piste, fu interamente finanziato dal gruppo.
Un progetto con molti problemi tecnici
La decisione affrettata incontrò subito dei problemi: con i sindacati locali per la presenza di una troupe inglese; a livello cinematografico, di continuity per i vestiti di scena di John Paul Jones e Jimmy Page, e per riprese mancanti che richiesero l’allestimento di una replica del palco newyorkese negli studi inglesi di Shepperton (nel frattempo Jones si era tagliato i capelli, per cui indossa una parrucca assurda).
La pellicola non è un film concerto autentico: l’aeroporto dove arrivano con il jet privato è quello di Pittsburgh, i dietro le quinte in cui l’orrido Grant maltratta promoter locali e bagarini vengono dalla data di Baltimora, come le scene di fan espulsi dalla security (alcuni però entrano con la complicità divertita dei poliziotti, altri tempi evidentemente). Nessuna traccia delle groupie che popolavano il circo dei Led Zeppelin: sesso, droga e alcol sono epurati da un film che nelle sequenze off stage esalta il contesto familiare e agreste dei quattro musicisti. Il passaggio dall’orizzontalità bucolica della campagna inglese alla verticalità fallica di New York è repentino e allusivo.
Joe Massot fu esonerato e sostituito da Peter Clifton, ciò provocò ritardi nella lavorazione e beghe legali. Le riprese pianificate per il tour autunnale del 1975 furono annullate a causa dell’incidente automobilistico di Plant a Rodi, foriero di ben più gravi tragedie familiari (la morte nel 1977 del figlio Karac Pendragon che nel film vediamo correre felice nei prati nelle scene di apertura del film, prima che la band sia brutalmente strappata alla vita arcadica in Albione dalla convocazione di Grant).
Un film amato dai fan, censurato dalla critica
Il film incassò bene grazie ai fan ma fu stroncato dalla critica per il suo approccio amatoriale. Ahmet Ertegun, il presidente dell’Atlantic, si addormentò durante la proiezione. Anche se non si fossero sciolti nel 1980, difficilmente gli Zep avrebbero contribuito alla storia del cinema rock come gli altri grandi gruppi rock’n’roll del periodo (Stones, Pink Floyd e The Who). Rivedere oggi The song remains the same è interessante da un punto di vista antropologico. John Bonham sembra scappato dal set di un film porno (inquadrando solo la faccia senza batteria potrebbe trovarsi ancora là). Un momento prima era su un trattore intento a smorganare (!) un campo – mentre John Paul Jones è in prestito dal castello medievale delle (ridicole) sequenze fantasy del film. Parrucca da paggio alla Brian Jones e una giacca che sembra rubata a Phil Manzanera dei Roxy Music.
Toreri androgini
Robert Plant possiede l’androginia di un torero e le sue pose plastiche con il suo traje de luces hippie: un bolerino con le maniche corte leggermente a sbuffo, decorate di strass, la chioma bionda ossigenata, vaporosa, riccioluta che avrebbe fatto ingelosire Stevie Nicks da lì a poco (però gli manca un dente quando ride molto). Il corpo liscio, snello, senza tartaruga, l’addome fastidiosamente piatto, si atteggia come una pin up all’ombra di Jimmy Page. Nelle sequenze fantasy è un momento cavaliere della Tavola Rotonda con la sua Excalibur, un momento Alice nel Paese delle Meraviglie.
Anche Jimmy Page è un torero con un traje de luces glam, le chitarre al posto della muleta. Le inquadrature insistono sul viso e tagliano le mani che corrono sulla Gibson, la sua Excalibur. Lo vedo grondare sudore e penso allo stile chitarristico minimalistico, fatto solo di riff azzeccatissimi, di Keith Richards, e alle strade diverse che gli Stones e gli Zeppelin hanno intrapreso partendo dal blues: gli uni verso l’hard rock acido con chitarre pesantemente effettate, noise, riverberate, gli altri verso il funky, il reggae, la dance, la ruffianeria jaggeriana. Il 1973, l’anno dei concerti al Madison Square Garden ripresi nel film, per gli Stones fu l’anno di Goat’s head soup, non proprio un capolavoro: registrato in Giamaica, fece scrivere a Lester Bangs che gli Stones facevano tristezza. Mick sempre più calato nel jet set, Keith negli abissi dell’eroina.
Invece dopo appena due anni Plant e Page sono già annoiati da Stairway to heaven, eseguita con sarcasmo dall’uno e pedissequamente dall’altro. Ciò che il film restituisce in modo sfavillante è l’ebbrezza dei Led Zeppelin come band di Page, protagonista assoluto, Paganini lisergico, impegnato in estenuanti amplessi con le sue Gibson. Il film è la sua performance, il suo spasimo grondante sudore, il suo trip. (pubblicato in versione editata su Il Manifesto del 23 marzo 2024)