«Un giorno ho mostrato alla figlia di un visitatore un libro pieno di foto di David Bowie, comprese quelle giovanili della fase da mimo in cui si truccava come Pierrot. “Quando hai la faccia dipinta”, mi ha spiegato lei, “Brucia e prude. Ma non puoi tornare a casa a fare il bagno se prima non ti ha visto un bel po’ di gente”. Come analisi della fama e dei suoi aspetti negativi, secondo me è al livello di Fame di Bowie». Lo scrive Michel Faber in Ascolta (La Nave di Teseo, traduzione di Andrea Silvestri), in un capitolo in cui sfata il mito che la musica classica ascoltata nel ventre materno stimoli l’intelligenza dei futuri esseri umani. All’inizio gli embrioni sono sordi, solo dopo diciotto settimane l’apparato uditivo comincia a reagire agli stimoli. A quel punto il feto si ritrova immerso in un ambiente sonoro che ricorda l’interno di una fabbrica o «la zona grigia dell’elettronica di avanguardia chiamata industrial». Altro che quintetti con clarinetto.
In Ascolta, Michel Faber lancia parecchie provocazioni, fin dal titolo: oggi l’ubiquità della musica la rende un’imposizione violenta e spesso vorremmo non dover ascoltare. Il libro è un racconto sulle proprie esperienze di ascolto e collezionismo maniacali, tra autobiografia, scienza, filosofia e antropologia, con racconti affascinanti (come quello di Beatrice Harrison, la violoncellista preferita di Elgar) e il senso dell’umorismo di Faber. Un cultural study freeform, un libro per i suoi lettori fedeli e per i nerd, quelli che fanno a gara a chi ce l’ha più lunga (la discoteca). Leggerlo è come avere Michel Faber nel salotto di casa per una di quelle chiacchierate-fiume a tarda notte in cui ci si confessa di tutto, senza inibizioni.
«Le grandi orchestre non sono altro che tribute band».
«Non ho mai sopportato gli Smashing Pumpkins, i Placebo e i Muse».
«Beethoven aveva più cose in comune con Joe Zawinul e Alice Coltrane che con Rudolf Serkin o Vladimir Ashkenazy».
«Trovo noiosi The Band, R.E.M. e Wilco».
«I recensori musicali sono obsoleti come gli arrotini».
«…»
Quella che segue è una conversazione del genere, ma per email.
Molte pagine di Ascolta cercano di smitizzare la musica.
Sì, ma ciò non ne compromette la magia. In questo momento qualcuno starà ascoltando i Doors o i Velvet Underground perché una qualche “autorità” gli ha detto di farlo. Che spreco di tempo e di energia, quando potrebbero ballare con le Mahotella Queens o commuoversi con Mantovani.
Ho postato sui social la citazione su David Bowie e qualcuno ha commentato che Ascolta ha suscitato polemiche nel Regno Unito. Allora sono andata a cercarle e ho trovato un paio di recensori snob che la accusavano di essere snob. Michel Faber, lei è snob?
Dovevo aspettarmi qualche recensione simile, eppure sono rimasto ugualmente sorpreso. Uno dei messaggi di Ascolta è che non esiste un gusto “superiore”, ognuno ha le sue preferenze per motivi tribali o autobiografici, e che lo snobismo è uno spreco di tempo prezioso. Questo ha spinto alcuni snob a sprecare un sacco di tempo per spiegare perché Michel Faber non è abbastanza qualificato per far parte della loro gang di sommi esperti.
A proposito di snobismo inglese, l’ostracismo verso la musica non anglofona è duro a morire. Una volta ho provato, senza successo, a richiedere Se telefonando di Mina a BBC6 Music. Lei come lo spiega?
Molto dipende dall’atteggiamento di chiusura dovuto al fatto che sono una nazione insulare. Ho letto l’intervista che le ha fatto Matteo Uggeri per Concrete Shelves in cui diceva che da bambina cantava “iello sammarì” dei Beatles perché era “attratta dal suono, dal mistero di una lingua straniera”. È un sentimento con cui crescono molti bambini in Europa, Africa e Asia – canzoni esotiche che vengono da molto lontano, o magari anche solo da un paese oltreconfine – canzoni che funzionano come incantesimi prima ancora di sapere che significano le parole. I britannici non vedono il mondo allo stesso modo. Per loro, l’inglese è un paradigma universale e qualsiasi artista “straniero” che voglia farsi conoscere in Gran Bretagna deve imparare a cantare nella loro lingua. Ovviamente cantare in una lingua straniera non è facile e gli inglesi sono spietati nel prendere in giro chi non ha un accento perfetto. Sicuramente qualche hipster che conosce Mina informerà gli altri componenti della sua tribù che la musica di Se telefonando è di Ennio Morricone, una figura estremamente rispettabile per uomini che sfoggiano gusti sofisticati. Ma non vogliono che la BBC suoni Mina, per loro è più importante che resti un oscuro oggetto di conversazione. Se fosse conosciuta da un pubblico più ampio, avrebbe meno valore.
L’anglocentrismo ci porta alla questione della rappresentatività in musica. Lei fa l’esempio di Nana Mouskouri che nessuno cita come la musicista donna che ha venduto di più, un record attribuito a Madonna. Ian Brennan e Marilena Delli sono due attivisti che dedicano le loro risorse a fare dischi con musicisti di aree remote del mondo che altrimenti non avrebbero nessuna probabilità di essere registrati e ascoltati. Brennan ha scritto dei libri sul falso mito della meritocrazia in musica e sulla sua battaglia per la democrazia nell’arte. Li conosce?
L’album che hanno registrato in Ghana con Witch Camps, I’ve Forgotten Now Who I Used To Be (2021), è stata una delle mie scoperte dell’anno passato. Ho comprato i libri di Ian dopo aver ascoltato quel disco, lo ritengo un autore importante. Adesso siamo in contatto via email e spero che un giorno riusciremo a fare qualcosa insieme. La musica che ascoltiamo è molto diversa, ma entrambi siamo consapevoli che al mondo esistono molte più cose di quelle di cui si occupano i media mainstream, ed entrambi vogliamo scrivere libri che non si limitino a rafforzare le opinioni dei lettori, ma servano a qualcosa di più.
A proposito di opinioni diffuse: ho fatto ascoltare Mozart a mio nipote quando era neonato e pensavo che il suo sgambettio fosse una manifestazione di felicità. Ma dopo aver letto il capitolo Le orecchie di un bambino, ho paura di avergli danneggiato il sistema nervoso.
Non si preoccupi! Suo nipote è un essere umano, presumo, e quindi ha maggiori capacità di apprezzare Mozart di un cane, un uccello o un insetto. Le comunicherà se qualcosa gli piace. In realtà probabilmente non fa differenza che si tratti di Mozart, Metallica, Muslimgauze o Mina: se lui associa la musica al tempo piacevole che passate insieme, imparerà ad apprezzarla.
Lei si definisce un collezionista di suoni e di fenomeni culturali. Ci fa un paio di esempi?
Di recente ho molto apprezzato i lavori di ristrutturazione degli inquilini al piano di sopra. Un sacco di trapanature, smartellamenti e seghe elettriche. “Concerti” che purtroppo finiscono puntualmente alle sei di sera. Per quanto riguarda i fenomeni culturali, mi sono molto appassionato alle riviste maschili di avventure che ebbero grande successo in America dagli anni Cinquanta ai Settanta. Fantastiche copertine di uomini muscolosi che lottano contro orsi, tigri, serpenti, donnole assassine, o che vengono torturati da splendide fanciulle naziste con le camicette sbottonate e una frusta in mano. Dentro ci sono decine e decine di pubblicità di corsi per corrispondenza per insegnare a uomini con un’autostima sottozero come ottenere lavori ben pagati che li salveranno dalla miseria. Sono commoventi fino alle lacrime.
Nel libro racconta che Franco Battiato ha composto un brano per sua moglie Eva. Ci racconta come è accaduto?
Mi sono innamorato della musica di Battiato nei primi anni 2000 e l’ho fatta conoscere anche a Eva, a cui piacevano in particolare Sulle Corde di Aries e Shadow, Light, un’antologia che comprende Messa Arcaica e alcune canzoni come Povera Patria, una delle sue preferite in assoluto. Quando nel 2008 a Eva fu diagnosticato un mieloma multiplo, all’inizio pensammo che le sarebbe rimasto solo un altro compleanno, così di nascosto ho contattato i suoi musicisti preferiti chiedendo loro di mandarmi un brano musicale per regalarle un CD. Battiato compose un brano intitolato I Have A Message For You. Eva e Franco non si sono mai conosciuti di persona, anche se lui la salutò al telefono alcuni anni dopo, mentre eravamo a Milano. Eva è sopravvissuta sei anni. Il pezzo di Battiato suonava durante la cerimonia funebre umanistica, mentre la bara scivolava via dietro le tende. Sette anni dopo, anche Franco è morto di mieloma multiplo.
Nick Cave sa che lei soffre di acufene?
Dipende se ha letto il libro!
Anche lui ce l’ha.
Non lo sapevo. Non parlo con Nick da quando lo intervistai per il giornale della Melbourne University, io avevo diciotto anni e lui ventuno. Comunque non do la colpa del mio acufene ai concerti dei Birthday Party e dei Bad Seeds, per quanto fossero assai rumorosi.
Data la sua passione per la musica industrial, sembra quasi che abbia voluto interiorizzarla per portarla sempre con sé.
Immagino che lo dica per punzecchiarmi. Mi piace ogni genere di musica, anche quella più tranquilla che l’acufene rischia di rovinare. Ma ho imparato a conviverci, ci sono molte malattie peggiori e mi ritengo fortunato a poter vedere, camminare, concentrarmi, mangiare, dormire e così via.
Non sarebbe stato più semplice intitolare Ascolta “Un’autobiografia in musica”?
Quando ho iniziato a scrivere il libro, ero deciso a tenermene fuori, a farne un libro su voi lettori anziché su di me. Dopo un po’ mi sono reso conto che sarebbe stato utile parlare del mio passato, perché così chi legge avrebbe avuto la sensazione di conoscere un’altra persona, anziché dover solo digerire idee provocatorie. (pubblicato in forma editata su Il Manifesto del 28 giugno 2024)