Due cose si sanno di Mama Cass: la prima, che faceva parte dei Mamas & Papas; la seconda, che morì strozzata da un panino. Non c’è niente di epico nel morire soffocati dal proprio vomito come accadde a Jimi Hendrix, ma Cass Elliot era grassa e il panino al prosciutto è diventato la sua nemesi. Una leggenda umiliante, ripresa in varie situazioni pop, da Austin Powers a Lost a Frank Zappa in We’re turning again, rassegna in cui irride gli hippie e i loro miti: «We can visit Big Mama, and wrap her on the back, when she eats her sandwich». È anche il motivo principale per cui la figlia, Owen Elliot-Kugell, ha deciso di scrivere un libro: My Mama, Cass – A memoir (Hachette Books), uscito lo scorso maggio.
Il libro inizia con una carrellata cinematografica lungo le strade di Los Angeles e Hollywood: è il giugno del 1974 ed Ellen Naomi Cohen (vero nome di Mama Cass) è al volante della sua Cadillac blu notte decappottabile, con i sedili di pelle bianca e la targa personalizzata che omaggia la dea egizia Isis. La radio trasmette i successi del momento, come Top of the World dei Carpenters. I bracciali d’oro (tre di Tiffany e uno di Cartier) tintinnano ai polsi di Cass mentre l’auto scivola lungo il Sunset Boulevard e canta insieme alla figlia.
Owen è la figlia che si era regalata per non sentirsi più sola, avuta da un partner la cui identità rimase ignota per decenni. Era nata sei settimane prima del festival di Monterey, chiuso proprio dai Mamas & Papas. La carrellata prosegue verso l’aeroporto di Los Angeles, dove la piccola Owen di sette anni prenderà un volo per Baltimora che la porterà dalla nonna. È la prima volta che viaggia da sola. Cass sta per partire per Londra dove ha un ingaggio di ventotto concerti al Palladium, due al giorno, tutti esauriti. È un buon momento per la sua carriera, che dopo la breve esperienza con i Mamas & Papas ha avuto alti e bassi. Cass è felice, accompagna Owen fin sull’aereo e prima di affidarla alle hostess le dice che il tempo volerà e presto saranno di nuovo insieme. La abbraccia forte, con gran tintinnio di bracciali, poi scende. Mentre l’aereo comincia a muoversi sulla pista, Owen la vede dal finestrino che si sbraccia per salutarla e spera che anche sua madre riesca a vederla. È l’ultima immagine che ha di lei.
La residenza al Palladium fu un trionfo. L’ultimo concerto fu il 27 luglio. Cass lascia una scritta con il rossetto sullo specchio per dare il benvenuto a Debbie Reynolds che prenderà il suo posto sul palco, poi va alla festa di compleanno di Mick Jagger. È esausta quando il 28 torna a casa e si mette a letto. Muore d’infarto durante il sonno. Per evitare qualsiasi associazione con gli stupefacenti, il manager Alan Carr chiede a un’amica giornalista di inventare la storia del soffocamento con un boccone di panino al prosciutto.
Nel 2020 Sue Cameron ha ammesso di aver diffuso la falsa notizia nel necrologio scritto per The Hollywood Reporter. «Il livello di fat shaming che mia madre ha dovuto sopportare durante la sua vita oggi è inimmaginabile», dice Owen. Cass depotenziava le battute sul suo corpo facendo ricorso all’autoironia. Il body shaming e l’umorismo preventivo la accomunano a due musiciste molto diverse, due storie emblematiche di straordinario successo. Come Cass Elliot, anche Amy Winehouse era di origini ebree, entrambe soffrivano di disturbi alimentari, di abuso di sostanze e di una tremenda solitudine. Entrambe sono state massacrate dai media ogni volta che hanno fallito, le loro débâcle sul palco hanno riempito pagine di tabloid. Come Dolly Parton, invece, anche Cass Elliot aveva imparato che il senso dell’umorismo era il modo migliore per uscire da situazioni spiacevoli, che si tratti di dimensioni corporee o di taglie di reggiseno. Purtroppo Cass non è vissuta abbastanza per vedere Lizzo trionfante sulla copertina di Rolling Stone.
Meno noto di Cass è il talento di sensale musicale, le intuizioni con cui accoppiava gli amici musicisti. Nel febbraio del 1964 fece incontrare John Sebastian e Zal Yanovsky e accese la scintilla che diede inizio ai Lovin’ Spoonful. Altri incontri fertili avvennero nella sua grande casa accogliente, sempre aperta a tutti. «A casa mia puoi vedere Eric Clapton, David Crosby e Stephen Stills suonare insieme e in quel momento magari arriva Buddy Miles. Joni Mitchell ha scritto molte canzoni nel mio soggiorno», disse in un’intervista. «Tra noi era quella con la casa più bella, con un sacco di spazio, e le piaceva essere circondata di gente perché era sola», ha detto Crosby. Alcune delle foto più famose furono scattate da Henry Diltz durante un picnic improvvisato nel 1968. Eric Clapton era a Los Angeles con i Cream e non conosceva nessuno a Laurel Canyon. Lui e Cass si erano incontrati durante uno show televisivo e lei lo aveva invitato il giorno dopo per un barbecue. Le foto ritraggono Clapton, Crosby e Mitchell e in qualcuna si vede anche la piccola Owen di appena sei mesi. A quanto raccontano John Sebastian e Stephen Stills, fu lei – con il suo eccellente talento per le armonie – a suggerire di aggiungere una terza voce al duo Crosby-Stills e a individuarla in un ragazzo inglese con il gilet verde in stile edoardiano. Cass Elliot appone una firma da madrina al primo disco di Crosby Stills & Nash cantando in Pre-Road Downs, unica ospite vocale.
Fu anche una delle prime a incoraggiare i giovani a prendere parte alla vita politica e oggi farebbe attivamente campagna per i democratici, come avvenne per le presidenziali del 1972. Questo dovremmo ricordare di quella ragazza di Baltimora, la cui bisnonna fuggì dallo shtetl in Polonia nel 1914: il grande entusiasmo e la determinazione che le fecero vincere la scommessa con i genitori («Datemi cinque anni per diventare famosa») due settimane prima della scadenza del patto, quando California Dreamin’ entrò in classifica. Fu l’inizio del suo sogno: Make Your Own Kind of Music, come canta nel brano di Barry Mann e Cynthia Weil del 1969. (pubblicato su Il Manifesto del 2 agosto 2024)