Tracey Thorn e io abbiamo una storia da decenni. Parte da Nettuno e arriva a Zurigo, ma curiosamente non passa per Londra, né tantomeno per Hull, dove gli EBTG nacquero nel 1982. Chissà come si sarebbero chiamati se lo slogan di Turner’s, il grande negozio di mobili in Beverley Road, non fosse stato “For your bedroom needs, we sell everything but the girl“. Tracey aveva fatto la storia del pop anche prima: le Marine Girls contavano tra i fan Kurt Cobain, ma fu in duo con Ben Watt (compagno di vita che ha sposato nel 2007 dopo 28 anni insieme e tre figli) che la base di fan si è allargata oltre Seattle e le classifiche indie britanniche. Fra le definizioni di genere imbarazzanti, “sophisti-pop” è forse la più ridicola. Come se prima di EBTG, Sade, Style Council, Matt Bianco e Swing Out Sisters il pop sofisticato non fosse esistito. Beatles, Bacharach e Motown, cancellati dalla faccia della terra per il vezzo di un collaboratore di Allmusic. Ma negli anni ‘80, dopo la furia e il nichilismo del punk, questi ragazzi dal look impeccabile – dallo spolverino al lipstick – sbandieravano ascolti quelli sì sofisticati, jazz e Brasile soprattutto, che davano al talento congenito dei britannici per il pop una ventata di cosmopolitismo glamour e intellettuale. Il loro manifesto poteva suonare: Oh isolazionismo dei nostri avi, dissolviti come la nebbia sulla Manica e lasciaci sbarcare sul continente. Vogliamo andare nei cafè parigini, camminare lungo i boulevard, scendere fino a Capri, bere il cappuccino e mangiare la pizza su una tovaglia a quadri rossi e bianchi, con un fiasco di Chianti, in una vera trattoria. Per noi esisteva solo Londra, mentre loro guardavano al continente, all’Europa degli Esistenzialisti e degli stilisti, del buon cibo e del sole.
A Tracey piace il sole. Me la ricordo, quel pomeriggio d’agosto, beata come una lucertola albionica finita per sbaglio in una valigia diretta a sud che salta fuori in un luogo dalla luce abbagliante. Una ragazza con le sopracciglia all’ingiù, il mento sporgente e il taglio di capelli sempre perfetto, che non è cambiato molto nell’arco di tre decenni. L’aria timida e schiva, ma un temperamento coriaceo, determinato, non immune da attacchi di rabbia e frustrazione.
A lei devo la mia unica presenza in un campo di baseball. Era il 9 agosto 1985 e a Nettuno c’era un minifestival dedicato alle nuove tendenze del rock. Arrivai presto, durante le prove, sperando di intervistarla. In quella gloriosa giornata d’estate la rivedo seduta con le gambe penzoloni fuori dal palco, a godersi tutti quei raggi ultravioletti ad occhi chiusi e, quando li apriva, immaginava quel diamante colmo di gente, una folla di new waver italiani innamorati di quel sottogenere di nuovo pop elegante, intriso di cool jazz e bossanova. Sade aveva il look e la voce carezzevole, ma Tracey era l’interprete solida, la voce languida e nostalgica, la saudade intinta nell’aplomb britannico che ne riemerge come una perla dal pallore perfetto.
Mi feci coraggio, quelli erano i nuovi dei ed erano inglesi!, e mi avvicinai per chiederle un’intervista. Non disse di no, ma nemmeno di sì: “Vediamo, dopo il concerto. Forse.” “Ti piace qui? E’ bello, vero?” “Oh sì, non vedo l’ora che arrivi stasera.”
Quella sera fu un flop: qualche centinaio di persone appena, il diamante vuoto, la delusione enorme. Il Grande Cocomero New Wave a Nettuno non si materializzò. Tracey cantò tutto di corsa, senza cuore, la delusione le implodeva dentro, un ruggito che tendeva le corde vocali. Dopo il concerto, chiusa nel camerino, non voleva vedere né parlare con nessuno. Era livida e inavvicinabile: più che isterica, una diva indispettita. Eppure ricordo che qualche parola riuscii a scambiarla, ero l’unica che parlava un po’ di inglese. Ero mortificata, non sapevo come spiegarle quel vuoto imbarazzante. Forse poca promozione, forse le vacanze, i romani dispersi fuori del GRA, mentre in provincia il verbo New Wave era ancora sconosciuto. Qui gli stadi li avevano riempiti gli AC/DC e Stevie Wonder l’anno prima. Ma come raccontarlo alla stella più fulgida dell’unica musica esistente sulla faccia della terra in quel momento?
Nel manipolo di arditi che fuori dal camerino speravano di poterla avvicinare c’era anche una ragazza a cui degli EBTG francamente non importava molto. Era venuta solo per farle registrare un saluto per non so più che radio, tipo: Hello, I’m Tracey Thorn of EBTG and you’re listening to Radio Alatri Stereo Sound. “Non posso tornare senza, mi hanno mandato qui apposta”, diceva sconsolata. Per rendere contenta almeno lei, fui io a spacciarmi per Tracey, con risultati patetici. Se alla metà degli anni ’80 vi è capitato di sentirla salutare da una radio privata del Lazio meridionale, e avete pensato “Però quando canta ha un’altra voce”, è perché non era lei.
Gli EBTG hanno continuato a fare dischi e io la radio, e per decenni le nostre strade non si sono più incrociate. Già Love not Money, il secondo album, mi aveva deluso. Nessuno dei dischi successivi mi riportò a loro, l’incanto di Eden era spezzato per sempre. Missing mi aveva addirittura scandalizzato nel remix di Todd Terry, anche se la voce di Tracey che ripeteva I miss you like the deserts miss the rain non me la toglievo dalla testa. Del resto, di occasioni per cantarmela ne avevo all’epoca. Gli album e i concerti degli EBTG si esaurirono senza uno scioglimento ufficiale. Sapevo che Ben Watt aveva avuto una malattia seria, mentre che avessero dei figli l’ho scoperto quando i pargoli erano già adolescenti, ascoltando Hormones, la canzone sulla menopausa più divertente e autoironica che sia mai stata scritta (forse anche l’unica). Le nostre strade si sono incrociate di nuovo, in un certo senso, quando Tracey ha cantato due canzoni di Molly Drake, il cui ruolo determinante nella formazione musicale del figlio Nick era stato svelato nella raccolta Family Tree. A me l’avevano raccontato Joe Boyd e Gabrielle Drake e ne avevo scritto in Journey to the Stars.
Negli ultimi anni Tracey la leggo più di quanto la ascolti: la sua colonna quindicinale per il New Statesman, scritta meravigliosamente, nitida e divertente nello spirito di osservazione; i numerosi tweet che invia, a volte cinguettando con Ben, da cui si scopre che è una lettrice avida, il che spiega perché scrive così bene; i due libri purtroppo mai pubblicati in Italia (l’autobiografia Bedsit Disco Queen e Naked at the Albert Hall, sul canto e i cantanti). Come me, è una diarista pigra e impaziente ma, mentre per me quei quaderni sono una presenza inquietante sotto al letto, lei i suoi diari li rilegge e li trova divertenti. Ci credo. In scooter sul Lungotevere a me non capiterà mai di affiancare George Michael in auto come è accaduto a lei e Ben: “As he drew up alongside us Ben waved (lei non ha mai preso la patente, ci ha scritto un pezzo sullo Statesman), and GM wound down his window so I did the same … I asked him what he was up to and he said he had a new single out, which Radio 1 refused to play as it was ‘too crude’. All this through open car windows on a Friday evening in a Finchley Road traffic jam. ‘What’s it called?’ enquired Ben. ‘It’s called I Want Your Sex,’ he replied.”
Quest’anno, dovendo andare a Zurigo e cercando notizie in rete, sono incappata in un suo racconto di viaggio per il Guardian. Diretta a Innsbruck, ci aveva dormito una notte: “There we stopped overnight in the charming Lady’s First hotel, opened in 2001 exclusively for women, though now admitting men, and occupying a 19th-century town house in a quiet, leafy neighbourhood by the lake.” Due righe e mezza e avevo deciso che a Zurigo avrei dormito là, perché io di Tracey mi fido. L’hotel è proprio da lei, da austera ma sensibile e colta donna inglese. Non so se per caso abbiamo dormito nella stessa stanza, ma in quella accanto alla mia c’era il Quartetto Hagen che provava Mozart per un concerto alla Tonhalle, cosa che da sola è valsa l’intero viaggio. Anche per questo e per mille altre cose ancora in questi trent’anni esatti, thank you, Tracey.
SOLO: Songs And Collaborations 1982-2015 esce il 23 ottobre 2015 per Caroline International
5 CANZONI IMPECCABILI:
- Each and Everyone (EBTG)
- The Paris Match (Style Council)
- Protection (Massive Attack)
- Venceremos (Working Week, full version, con Robert Wyatt al controcanto)
- Night is my friend (Molly Drake)
5 VERSI MEMORABILI:
- I hate to feel so confined, feel like I’m wasting my time (The Paris Match)
- You tell me I can go this far oh, but no more, try to show me heaven and then slam the door (Each and Everyone)
- I miss you like the deserts miss the rain (Missing)
- And up the stairs and on the wall is Doisneau’s “Kiss” and Terry Hall (Hands up to the ceiling)
- Yours are just kicking in, Mine are just checking out (Hormones)
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