Ho cominciato a capire che la cucina italiana non è la migliore del mondo quando ho scoperto la cucina basca. San Sebastiàn/Donostia mi era rimasta nel cuore fin dal primo viaggio nel 2010, tanto che mi ero iscritta a un corso di spagnolo al Cervantes. Un giorno la nostra insegnante andalusa era impegnata e come supplente venne Jesùs, donostiarra, faccia da prete, veloce e logorroico quanto Beatriz era pacata e rilassata. Durante l’intervallo Jesùs fece un disegno sulla lavagna e quando rientrai in classe mi trovai davanti una cartolina perfetta de La Concha, la stupenda spiaggia urbana di Donostia, disegnata con dovizia di particolari. Jesùs si mise a raccontare del padre che non lo lasciava cucinare quando tornava a casa, perché “ormai tu cucini come gli italiani e gli italiani, si sa, non sanno cucinare”. Lì per lì me la presi, ma anche se quest’anno l’Osteria Francescana di Massimo Bottura è il ristorante migliore del mondo, ci sono tre baschi fra i primi 16: Mugaritz, Asador Etxebarri e Azurmendi.
A mettere in discussione i propri convincimenti spesso ci si guadagna: adesso quando vado in una nuova città non ho più paura di morire di fame. Anzi, ci sono posti non proprio dietro casa dove tornerei solo per riassaggiare certi sapori. Anche a Lipsia ho mangiato bene proprio mettendo da parte un pregiudizio duro da sgominare: quello verso i ristoranti cinesi. “China Brenner non è un ristorante cinese qualsiasi, è speciale. Fidati!”, mi dice Steffi. Giriamo in un vicoletto nell’area industriale di Plagwitz e mi lascia fuori ad aspettare mentre entra a confabulare per assicurarsi che c’è posto. Quando entro, mi ritrovo in un locale ampio, colorato, affollato e vivace. Decisamente non ha l’aria di un posto da riso alla cantonese e pollo alle mandorle. Qui lo spirito è quello di un’autentica taverna cinese e quindi il cibo si condivide, ma io sono seduta a un grande tavolo rotondo con una coppia piuttosto sulle sue, che infatti rifiuterà di assaggiare i miei piatti né mi chiederà di provare i loro.
Seguo le istruzioni della cameriera e prendo un piatto caldo, uno freddo e delle verdure, accompagnate da un tè alle erbe. La cucina è quella del Sichuan, che in Cina è chiamata Abbondanza dei Cieli, per la sua bontà e ricchezza. Brenner in tedesco è la bancarella, come quelle che vendono cibo nella capitale, Chengdu. E’ qui che è andato più volte Thomas Wrobel, all’epoca artista e scultore, che innamorato della cucina del Sichuan e indispettito dal fatto che non ci fosse niente di simile a Lipsia, decise di colmare la grave lacuna gastronomica. Thomas si innamorò del cibo e in particolare di quello di una bancarella gestita da tre donne. Oggi non esiste più, ma la loro foto veglia sulla cucina di Thomas dal grande ritratto in bianco e nero appeso nella sala.
Un’altra esperienza singolare è stato Chumumi, nuovo ristorante vietnamita sempre a Plagwitz, nella via dal nome più impronunciabile che esista: Zschochersche Str. 50a. Vale la pena appuntarselo perché è una strada interessante, dove faremo una seconda tappa veloce in un altro post. Ero talmente curiosa di provarlo che ci sono andata di sera in bici, passando per le strade principali anziché i parchi. Il grande problema a quel punto non è stata la mia riluttanza culinaria ma la comunicazione. Scarsissimo l’inglese della cameriera e menù solo in tedesco. Un livello di fraintendimento tale che non ci siamo capite nemmeno sullo zenzero! Ho preso un piatto a caso, un tofu al pomodoro con il coriandolo e non è stato proprio un trionfo. Ma il locale merita, a giudicare dai piatti che vedevo depositare sugli altri tavoli. Basterebbe tradurre il menu almeno in inglese, ma questo vale come suggerimento generale a Lipsia. Per tornare per fortuna ho caricato la bici sul tram.
Forse trovandovi in Sassonia avrete voglia di assaggiare la cucina locale. Allora fate come Goethe che, durante il suo improduttivo soggiorno a Lipsia, venne a conoscenza della leggenda secondo cui Faust, grazie all’aiuto di Mefistofele, si alzò in volo a cavallo di una botte da una taverna fino a raggiungere la piazza del mercato. La taverna è l’Auerbachs Keller ed è una delle attrazioni turistiche e gastronomiche della città. All’ingresso del Mädler Passage, la galleria in cui si trova, c’è la statua di Faust e Mefistofele: noterete che il piede sinistro di Faust è lucido e consumato – pare che porti denaro, il destro invece è trascurato perché è troppo vicino al diavolo. Scendete qualche gradino e vi ritroverete nel tempio della cucina sassone: salsicce, crauti, patate, funghi, selvaggina, bistecche di collo di maiale servite in quantità industriali. Ogni anno si servono 14.000 chili di cavolo rosso, 36.000 involtini di manzo e 12.000 porzioni di frittelle di ricotta, mentre scorrono 90.000 litri di birra e altrettanti di vino. I piatti hanno nomi come Schuesseln auf den Tisch (arrosto con funghi, ravioli di patate e cavolo rosso); la Pentola del Contadino Sassone (patate al gratin, crauti con mele, peperoni e bistecca marinata di collo di maiale); Ur Krostitz (fette di collo di maiale con crauti, funghi, cipolla, sottaceti e tortini di patate); e per dessert la versione gelato dell’Allodola di Lipsia: una mousse di formaggio al lime e salsa di lamponi.
Dopo questa abbuffata di proteine e grassi animali, vale la pena ricordare che Lipsia è anche una città assai vegan-friendly. Un indirizzo è Zest a Connewitz, uno dei ristoranti vegetariani-vegani storici della città, con una buona selezioni di vini. Qui potete provare il B.Y.O. Brunch (build your own brunch) a prezzi da DDR (da 7,5 a 10,8 euro) e un’infinità di piatti che cambiano di mese in mese, rigorosamente fatti in casa, dalle salse, al pane alla pasticceria.
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