La Valletta sembrava riposare tranquilla nel suo passato, nel ventre del Mediterraneo, in un isolamento tale che forse a mettere in quarantena lei e la sua isola era statolo stesso Zeus, per un antico peccato o una pestilenza più antica ancora. La Valletta era talmente in pace con se stessa che bastava osservarla da una minima distanza perché deteriorasse, trasformandosi in mero oggetto di curiosità. Cessava di essere qualcosa di vivo e pulsante e veniva assorbita nell’immobilità testuale della propria storia. (Thomas Pynchon, V)
Ancora oggi, nonostante i restauri e la rinascita del centro storico, Valletta è una città di affascinanti rovine, con i suoi palazzi disabitati che ancora lasciano intuire un passato aristocratico o perlomeno di alta borghesia, gli edifici diroccati, gli infissi e le porte scrostate, le vecchie insegne che come le gallaria, non si smetterebbe mai di fotografare e che danno l’impressione che il tempo si sia fermato agli anni 50 o 60. Si cammina in un eterno fermo immagine su cui si posa indifferente la polvere degli anni. Una polvere che sparge sulla città una patina vintage che la fa assomigliare ad altre città portuali apparentemente molto distanti. Per questo Valletta assomiglia ad Anversa e Riga, anch’esse punti di intersezione in cui la storia ha lasciato più volte il segno nel corso dei secoli, in cui le culture si sono sovrapposte, si sono insediate e ibridate. Valletta è in mezzo al Mediterraneo, Malta ha una cultura autoctona più antica di Stonehenge, contemporanea a Newgrange in Irlanda. Anversa e Riga sono città nordiche, anseatiche, ma il fascino delle rovine e dell’abbandono è lo stesso.
Oltre alle insegne e alle finestre colorate, Valletta è una città scandita da nicchie e statue agli angoli delle strade. Nel 1569 l’ingegnere Laparelli fu sostituito da Girolamo Cassar che cambiò il progetto originale: eliminò le vie sinuose ai lati delle arterie principali, impose una griglia regolare di vie, ma decorò gli incroci. Così Valletta divenne una città di statue e di immagini religiose che dalle chiese si riversano sulle strade.
Dal passato di Valletta arrivano le sue Voci Perdute. Lost voices of Malta è un doppio cd che raccoglie incisioni degli anni ‘30 di cantanti e musicisti maltesi. Al principio del 1931 un gruppo di musicisti salpò dal porto di Valletta diretto a Tunisi con l’obiettivo di effettuare le prime registrazioni di musica maltese. Questo diede vita a un fenomeno che investì la società dell’epoca: sull’isola si diffusero grammofoni e 78 giri, mezzo di intrattenimento casalingo e specchio sonoro che, per la prima volta, rifletteva l’identità maltese attraverso canzoni folkloriche di provenienza rurale, parlanti (le storie comiche), musiche da sala da ballo suonata dalle orchestre dei frivoli anni ‘30, periodo di interludio fra le due guerre, e infine le canzoni in stile operistico che attestano l’influenza della cultura latina nella Malta di inizio XIX secolo.
Il progetto è stato concepito e realizzato da Andrew Alamango, già fondatore degli Etnika con Ġużi Gatt, Steve Borġ and Ruben Zahra. Alamango ha curato anche il libro e la digitalizzazione dei 78 giri che ha reperito tramite passaparola, sull’isola e all’estero, chiedendo ad amici e conoscenti di frugare tra gli scaffali dei dischi, in cantina e in soffitta.
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