Ho visto Joni Mitchell volare, cantando leggera e ricurva sulla sua chitarra, partire da una strada solitaria in viaggio verso la libertà, passando per la California e le rock band lungo il cammino, chiedendo felicità e l’accoglienza di una seconda casa. L’ho vista tornare con il pensiero e il cuore nel suo Canada, della cui ebbrezza non avrà mai abbastanza (A Case Of You, uno dei capolavori che splenderanno per sempre, anche nelle mani di Prince e James Blake, fra gli altri), desiderare di avere un fiume su cui scivolare via, dalla pazza folla e dalle feste comandate – River, altra vetta insuperata – arrivando al colore più scuro di quel suo momento, quel blu che non è solo un cielo, ma spazio vuoto sottopelle.
È qui, nella titletrack lirica e profonda che non fa prigionieri, il centro di un disco che lascia una traccia indelebile a partire dal 22 giugno del 1971. Il “nero” Blue di Joni Mitchell, elegante e artistico male di vivere, è declinato nelle sfumature di un dolore personale che è anche frutto dell’incontro-scontro con rapporti e amori difficili, finiti ma non esauriti dentro. Quindi volare, viaggiare ma, come già in Clouds due anni prima, con l’idea ormai chiara che anche dal tentativo di liberarsi da ciò che si è, si torna, perché altro non è possibile fare. La “pittrice solitaria” canadese riparte volteggiando fra sonorità popolari e arie quasi da opera, per poi scendere, stremata, a un suono minimo, soffuso ma mai spento – come al capolinea The Last Time I Saw Richard, ovvero la morte di chi si conosce, non a caso ultimo brano del disco.
L’ho sentita parlare, a noi e al mondo, della solitudine a cuore pieno, con la consapevolezza di una femminilità che è una delle sfumature di quel blu. Crescere è anche perdere: fa male e dopo Blue, per fortuna, niente è più uguale e molto di quel dolore diventerà familiare. Un disco per cui ringraziaremo questa donna per sempre.
Lucia Settequattrini sostiene di non occuparsi di musica, mentre la musica si è sempre occupata di lei. Attualmente insegna a non odiare l’inglese alle scuole superiori e nel resto del tempo parla della sua musica preferita alla radio – a volte, anche nello stesso giorno. Appassionata di dischi e di storie, ha scritto, quasi a sua insaputa, Al Green. Io sono un cantante per Vololibero edizioni.
Gli altri album del 1971.
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