“La musica è il suono del cielo, ed è il suono che controlla l’Universo. La sua energia è il potere più forte del mondo”: sono alcune delle parole pronunciate dal guru indiano Swami Satchidananda quando, giunto negli Stati Uniti dallo Sri Lanka come una star, viene invitato a tenere un discorso sul palco di Woodstock ’69. Molto vicino al mondo della musica e ai musicisti, nello stesso anno Satchidananda incontra e diventa il guru di Alice Coltrane che, nel pieno della sua carriera solista dopo la morte di John, ha ormai definitivamente abbracciato l’induismo, in particolare la scuola Advaita Vedānta.
Dalla frequentazione con Satchidananda, Alice Coltrane trae ispirazione per il suo lavoro più importante, Journey in Satchidananda, figlio dell’utilizzo e dell’applicazione al free jazz degli strumenti indiani che i Coltrane avevano collezionato nei loro intensi quattro anni di unione, acquistandone ovunque nei loro viaggi in giro per il mondo. Disco stratificatissimo e capace di volgersi insieme alla tradizione e allo slancio lunare, alla terra, all’antichità, come al futuro e al cosmo: a quell’Universo che è padre di tutti i suoni della Terra.
A pochi mesi dalla pubblicazione dell’album, Alice Coltrane parte per la prima volta per l’India e, in parallelo, inizia a suonare il Wurlitzer, elemento centrale della successiva fase della sua produzione discografica come solista. Al suo ritorno, precisamente tra aprile e giugno 1971, registra l’impossibile – eppure effettivo – superamento di Journey in Satchidananda, nonché quello che è probabilmente il suo capolavoro, il disco centrale di una intera carriera: Universal Consciousness esce nel settembre dello stesso anno.
Sintesi assoluta tra misticismo e cultura free jazz made in USA, suoni dell’India e suoni afro, è qui che Coltrane cerca, come ci dice lo stesso titolo dell’album, la coscienza universale, che se ne sta, naturalmente, sottesa a tutti i suoni del mondo, quelli della terra e del cosmo già esplorati nel lavoro precedente. Cascate di suoni e scontri diretti, che paiono vis à vis, tra l’arpa di Coltrane – suonata anche dal vento – e la sezione d’archi, mentre i tamburi sembrano vivificarsi in una sorta di danza spiritica e aprono un lavoro dove il contrasto, come dice anche il secondo titolo del disco, «Battle at Armageddon», è uno scontro tra impulsi ritmici continuo, in cui l’arpa e l’organo sembrano affrontare ogni altro suono. Nella traccia in questione, per esempio, la batteria di Rashid Ali finisce con il rappresentare l’intero spirito di Alice Coltrane che si solleva, elevandosi, combattendo e insieme arginando tutte le battaglie del mondo.
Grazie anche alla presenza di Ornette Coleman, gli incroci tra corde e organo creano vere e proprie esplorazioni sonore dinamiche tra architettura e improvvisazione, capaci di mostrarci una conversazione dei suoni insieme intima e universale. Universal Consciousness è un disco fondamentale la cui innovazione è anche una profonda interiorizzazione della classicità, un viaggio celeste e insieme sotterraneo, figlio di incroci culturali e diretto generatore di un mondo volto all’universale che è insieme il sogno di un futuro che ancora, sono certa, deve arrivare.
Giulia Cavaliere si occupa di musica e cultura pop per diverse testate cartacee e online, tra cui Rolling Stone ed Esquire Italia. Il suo primo libro, Romantic Italia, uscirà a settembre per Minimum Fax.
Gli altri album del 1971.
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