Ad un ascoltatore distratto, Dez Anos Depois (“Dieci anni dopo”) di Nara Leão deve sembrare niente di più che un disco minore, quasi banale nella sua semplicità; un disco nel quale una degli artisti più importanti del Brasile ricorda i tempi d’oro della Bossanova e della propria giovinezza, ormai entrambe lontane.
Dopotutto la voce di Leão, in un sussurro di velluto, viene accompagnata nel disco quasi solo da una chitarra che ripercorre i classici della MPB (musica popolare brasiliana), tanto da sembrare oggi quasi un bignami sbrigativo per neofiti del genere. Eppure dietro tutto questo, e dietro il ritratto in bianco e nero della copertina, è riassunta la storia appassionante di un’artista unica.
Nara Leão è cristallizzata nella memoria di molti come la musa della Bossanova. Prese a suonare da piccolissima, attorno ai 14 anni, quando i giovani brasiliani iniziarono ad impazzire per la chitarra e a frequentare corsi più o meno improvvisati nei dintorni della spiaggia di Copacabana. Suo padre gliene regalò una, e nel giro di pochissimo tempo si ritrovò al centro di un fermento culturale che diede vita a questo nuovo e rivoluzionario genere musicale. Lasciò la scuola per suonare e cantare, e il salotto della sua famiglia diventò uno dei punti di ritrovo della scena di allora (complice anche il fatto che sua sorella Danuza Leão, di 9 anni più grande, era già una personalità conosciuta: giornalista impegnata, modella e pr. Tutto il contrario di Nara, che invece fu sempre piuttosto timida e riservata).
Ma quell’appellativo con il quale divenne famosa è stato in quegli anni (e forse tuttora) solo una maniera sbrigativa di recintarla in un ruolo ancillare, una bella ragazzina da ammirare per la vocina sinuosa. La realtà invece era molto diversa: nel giro di pochi anni, quelli che la traghettarono dall’adolescenza alla prima giovinezza, Leão prese coscienza della dura realtà della società brasiliana fuori dalla sua quotidianità borghese. Ineguaglianza, fame, violenza e razzismo furono al centro della sua produzione artistica, che prese a distaccarsi sempre più dallo standard tematico del sole-cuore-amore della Bossanova per arrivare ad affrontare temi di protesta sociale.
Se già nel suo primo album “Nara” aveva incluso autori e compositori lontani dalla sensibilità borghese ed europea, come la samba de morro (la samba delle colline, ovvero i dintorni di Rio dove si trovano le favelas) di Zé Keti, è dopo il colpo di stato militare che la sua musica di protesta si fa concreta.
Nel 1964 Nara ha 22 anni, è ricca, bianca, carina e popolare: è ad un passo dal diventare una stella della musica brasiliana e tutti si aspettano un disco adatto alla sua personalità leggera e al pubblico giovane che la segue. Invece sei mesi dopo l’instaurazione della dittatura, Leão pubblica “Opinião de Nara”, un disco fortemente politico che già nei primi versi racchiude il fulcro di un nuovo impegno che entro qualche anno influenzerà quasi per intero lo spettro della musica del paese: “Potranno arrestarmi, potranno picchiarmi, potranno anche farmi morire di fame, ma non cambierò mai opinione”.
Il disco diventa uno show teatrale (poi censurato), e nonostante i toni piuttosto seri, Nara diventa comunque famosissima. L’anno seguente lancia in televisione la carriera del leggendario Chico Buarque (e dopo di lui, una lista impressionante di “mostri sacri” della MPB come Martinho da Vila, Edu Lobo, Paulinho da Viola, etc), e conduce con lui un programma tv. Negli anni seguenti la popolarità di Nara Leão continua a crescere: oltre al lavoro legato ai dischi e ai concerti, l’artista inizia ad esibirsi sempre più spesso anche in teatro e in televisione, e prende parte a proteste e manifestazioni pubbliche contro il regime.
Arriva infine il 1968: la dittatura si fa più severa e inizia la persecuzione degli artisti, specialmente quelli che esprimono idee apertamente anti-regime, e quelli che si distanziano musicalmente dalla tradizione del paese. Leão viene minacciata (con conseguente levata di scudi del mondo intellettuale brasiliano) e l’anno seguente, da Londra, annuncia il termine della sua carriera. Il rischio di rimanere nel paese è troppo alto e molti, tra i quali Buarque, Gilberto Gil e Caetano Veloso, cercano riparo in Europa: Leão si rifugia a Parigi, dove passa gli anni successivi concentrandosi sulla sua famiglia.
Ed è proprio lì, nella Parigi post-‘68, che Nara Leão sente il bisogno di incidere questo disco, che più che un testamento assomiglia ad un vecchio album di foto di famiglia che viene riaperto con calma dopo tanto tempo. La chitarra che punteggia delicatamente ogni pezzo è di Tuca, musicista brasiliana che ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione di certi ritmi in Europa (nello stesso anno lavorò a “La Question”, uno dei dischi di Françoise Hardy più amato dalla critica). Con lei Nara Leão riesce nell’impresa di rendere omaggio alla Bossanova mettendone in evidenza però tutti gli aspetti che ai tempi del suo exploit furono totalmente ignorati: invece delle armonie solari e dei ritmi sbarazzini, in “Dez Anos Depois” Leão dà spazio alle ombre più fredde, come sembra già suggerire dal centro della copertina innevata. Ed è così che pezzi immortali come “Garota de Ipanema” assumono sfumature di una malinconia inaudita, e che canzoni di una poesia lacerante come “Sabià” (scritta da Tom Jobim e Chico Buarque, poi ricantata anche da Hardy con il titolo “La Mésange”) assumono un senso nuovo, una completezza matura e serena, eppure ancora molto conturbante.
Il disco, insomma, cercò di trovare dei nuovi significati ad un genere musicale che definì la storia dell’intero Brasile. E ci riuscì.
Nur Al Habash è una giornalista musicale. Dopo aver scritto per varie testate, dal 2014 al 2017 dirige Rockit.it. Dalla fine del 2017 lavora all’Italia Music Export, il primo ufficio per la promozione e la diffusione della musica italiana all’estero.
Gli altri dischi del 1971.