(pubblicato su Il Manifesto del 29/12/2018)
Quando Martyn Ware abitava alla Giudecca (dove comprò casa negli anni ‘80), una mattina si svegliò e accese la tv. Era il 9 maggio 1997: le immagini che arrivavano in diretta da Piazza San Marco erano talmente assurde da far pensare a un set cinematografico. Invece era tutto vero: i Serenissimi avevano occupato il campanile dopo aver requisito un traghetto ed essere sbarcati in laguna con il loro carro armato fai da te. E pensare che in Middle England Jonathan Coe definisce gli inglesi “una nazione di innocui svitati”.
Per un socialista convinto e sostenitore attivo del Partito Laburista britannico, non sono tempi facili: “Dobbiamo assolutamente liberarci di questo governo. Il modo migliore di usare il resto della mia vita è fare in modo che le persone senza risorse economiche o logistiche siano protette e non cadano nella disperazione. Aiutare le persone deve tornare a essere una priorità, per me è più importante che essere un artista”, dice.
Lo scorso novembre, all’International Radio Festival a Valletta, sotto le arcate medievali del Mediterranean Conference Centre, in un tripudio di stendardi dei Cavalieri di Malta, Martyn Ware si è trovato faccia a faccia con Mike Reed, ex responsabile dell’ufficio legale di BBC Radio1. Nel 1981 fu lui a censurare il primo singolo degli Heaven 17, We don’t need that fascist groove thang, per timore di un’azione legale da parte dell’appena eletto presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan. Nella canzone gli davano senza mezzi termini del fascista: “In genere quando censuri una canzone, vende di più. Noi siamo stati l’eccezione che conferma la regola. Oggi è ancora molto attuale: basta sostituire Reagan con Trump”.
Il tuo impegno sociale non è circoscritto al Regno Unito.
Sono ambasciatore di In Place of War, un’organizzazione nata presso l’Università di Manchester il cui scopo è creare centri culturali in luoghi di conflitto, in modo che i giovani possano vedere la creatività come via di uscita dalle difficoltà. Raccogliamo strumenti musicali e li mandiamo in Palestina, Brasile, Zimbabwe, Uganda, dove andrò presto. Lo faccio perché credo nella nostra umanità comune e nel fatto che tutti hanno bisogno di aiuto: anche il Regno Unito sta diventando un paese del Terzo Mondo.
Sei a favore di BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni)?
Certo, ho perfino un’app sul telefono che quotidianamente mi informa sulle aziende che sostengono il regime di apartheid in Israele. Ci tengo a dire che non sono antisemita, ma questa è una questione umanitaria. Sei mai stata in Palestina? Se ci andassi, non crederesti ai tuoi occhi. Non penso che l’apartheid in Sudafrica potesse essere peggio. Ci sono stato con un viaggio sponsorizzato da un’organizzazione interconfessionale di Nablus. Ho visto con i miei occhi due persone uccise a cento metri dal mio hotel, due giovani al mercato. Ho parlato con famiglie i cui figli adolescenti sono stati portati via senza processo e trattenuti per cinque anni e non gli è mai stato concesso di andare a trovarli. Gerusalemme in questo momento è una polveriera. Siamo andati in una libreria palestinese proprio fuori la Porta di Damasco. Volevo comprare dei libri, che tra l’altro non è possibile portare con sé via Tel Aviv al ritorno, bisogna spedirli via corriere e aspettare settimane che arrivino. Ci hanno detto che il giorno prima i soldati israeliani avevano percorso tutta la strada con un autoblindo spruzzando le facciate dei negozi di liquami, cosa che accade tutte le settimane.
Quando hai iniziato a fare musica, come ti immaginavi quarant’anni dopo?
Pensavo che sarei morto! Non riuscivo a immaginarmi oltre i 60 anni. Sono cresciuto a Sheffield, i miei genitori erano anziani quando mi hanno avuto, mia madre aveva 44 anni e mio padre 50, a quell’epoca erano vecchi. La mia nascita è stata un miracolo, sono nato prematuro di otto settimane. Non avevano soldi: mio padre ha lavorato cinquant’anni nella stessa fabbrica di attrezzi a Sheffield, mia madre si occupava dei quattro figli. Per fortuna avevamo una casa popolare, altrimenti avremmo dormito per strada in scatole di cartone. Questo è il problema in Gran Bretagna oggi: è molto difficile avere un alloggio popolare.
Come ti sei avvicinato alla musica?
Come tutti i ragazzini della mia età avevo una radio a transistor e la ascoltavo a letto, disobbedendo ai miei genitori. Mi piacciono ancora i suoni fine anni ‘60, primi ‘70, adoro ancora il suono della Motown. Per un compleanno le mie sorelle mi regalarono Sparky’s Magic Piano: c’era uno dei primi vocoder per le voci dei robot. A casa non avevamo libri, eravamo poveri, ma le mie sorelle spendevano tutto in dischi. Poi tutto trovò un senso quando uscì il primo disco dei Roxy Music: per me loro erano il futuro, soprattutto Brian Eno con i suoi top di lurex e le giacche con le spalle imbottite che suonava il VCS3 e manovrava una specie di joystick.
All’epoca a Sheffield c’era un’organizzazione per giovani creativi: si poteva studiare recitazione, video, e noi fingevano di far parte di gruppi dai nomi assurdi, tipo Underpants! Formai gli Human League e pubblicammo un disco che quest’anno ha compiuto 40 anni: Being Boiled uscì per un’etichetta indipendente, la Fast Records di Edimburgo. John Peel lo suonò a Radio1 e vendette 5000 copie, così firmammo per la Virgin e pubblicammo due album sperimentali di cui sono ancora molto orgoglioso.
Con gli Heaven 17 volevamo essere più avanti, avere un suono più affilato, volevamo provocare, per questo abbiamo pubblicato We don’t need that fascist groove thang. Facevamo dischi che suonavamo bene alla radio. Ci piaceva la musica soul, del resto io venivo da Sheffield, terra di northern soul, ma ci piaceva anche la musica elettronica e la nostra missione era fare musica soul elettronica. In Temptation abbiamo usato un’orchestra di 50 elementi. Pensavamo che sarebbe durata dieci anni e invece quarant’anni dopo sono ancora in giro a suonarla.
Poi gli anni ‘80 sono finiti.
Nel 1986 gli Heaven 17 sono stati scaricati dalla casa discografica e io sono passato alla produzione: Let’s stay together di Tina Turner, Life according to… di Terence Trent D’Arby, Erasure. Intorno al 2000 i lavori che mi offrivano diventavano sempre meno interessanti, tipo X Factor: se ne avessi accettato uno, non avrei più fatto altro. Così sono tornato a fare ciò che nella musica mi entusiasmava fin dall’inizio, l’aspetto creativo. Il futuro è nell’esperienza sonora immersiva: il suono in 3D presto diventerà un’esperienza casalinga. Al momento abbiamo un progetto enorme per il Festival di Glastonbury: uno spazio di 300 metri per lato con enormi pareti di casse e visual spettacolari per diecimila persone alla volta.
E’ vero che il tuo primo lavoro è stato in una ditta di computer?
No, è stato come tirocinante in un negozio di alimentari dove disossavo il bacon. Sono un macellaio!
Con il primo stipendio hai comprato un sintetizzatore.
Prima ho comprato una chitarra di seconda mano, ma mi faceva così male alle dita che ho smesso. Non volevo essere una vera rockstar, mi piaceva soltanto il look di Brian Eno. Ho sempre desiderato un sintetizzatore ma fino alla metà degli anni ‘70 erano troppo costosi. I primi synth Roland e Korg alla metà degli anni ‘70 erano mirati a una nuova fetta di mercato: persone normali appassionate di musica che altrimenti avrebbe comprato un organo. Ho ancora il mio primo synth e l’ho usato nell’ultimo brano che ho composto.
Com’è oggi il tuo studio?
Il mio studio è in 3D con due livelli di altoparlanti. C’è un Macintosh molto potente, un secondo schermo, ottimi monitor e tutto il software che si può desiderare: sono sponsorizzato da alcune società, perciò ho a disposizione un numero inimmaginabile di sintetizzatori virtuali. Posso entrare in studio senza un’idea, ma le fonti di ispirazione sono così tante che potrei facilmente fare un disco in una settimana.
BIOGRAFIA
Martyn Ware (Sheffield, 1956) ha scritto, suonato e prodotto due album con gli Human League, due con la British Electric Foundation e nove con gli Heaven 17. Come musicista e produttore ha venduto 60 milioni di dischi, collaborando con Tina Turner, Terence Trent D’Arby, Chaka Khan, Erasure, Marc Almond e Mavis Staples. Nel 2000 con Vince Clarke ha fondato la Illustrious Company che realizza in Audioscape (un’esclusiva tecnologia 3D) composizioni di spazializzazione sonora destinate a siti archeologici, musei, mostre, eventi, danza, teatro, ricerca e istruzione. Nel 2006 ha creato opere di architettura sonora per la Biennale di Architettura di Venezia. E’ docente presso il Queen Mary College di Londra e la Harvard Graduate School of Design e tiene conferenze su produzione, tecnologia e creatività musicali presso vari college e università del mondo.
Il suo sito è http://illustriouscompany.co.uk