Daniel Blumberg, rivelazione 2018 con «Minus», è in tour in Italia: «C’è un forte legame tra la musica e i miei disegni: non credo si possa sperimentare il mio lavoro in maniera diversa. Le opere sono parte fondamentale del processo creativo» (pubblicato su Il Manifesto del 17 marzo 2019)
«Gravner. Mi piace il suo vino, ma non me lo posso permettere». È un nome importante quello tirato in ballo da Daniel Blumberg, musicista inglese oggi quasi trentenne che ha firmato il suo primo contratto discografico da adolescente, è passato per vari progetti (Yuck, Oupa, Hebronix) e ha stretto proficue collaborazioni con David Berman (Silver Jews), Low, Lambchop e Neil Hagerty dei Royal Trux. Per spiegare il suo percorso musicale, sceglie l’esempio di un vignaiolo discusso, amato e a volte incompreso: Josko Gravner, che un giorno di circa vent’anni fa decise di eliminare la tecnologia dai suoi vigneti tra il Collio goriziano e quello sloveno e vinificare in grandi anfore di terracotta interrate, come si fa nella regione di Kakheti, in Georgia. Anfore che diventano come un utero per il vino.
A sentire Minus – il suo debutto come solista, pubblicato dalla Mute lo scorso anno – sembra di galleggiare in un liquido amniotico in cui stanno in sospensione echi di mondi sonori molto suggestivi: il Neil Young melodico e quello rumoristico, i Dirty Three, la versione più scarna dei Bad Seeds con le note cupe e liriche del pianoforte di Cave, il violino di Warren Ellis in evidenza e l’apocalisse sempre in agguato. Minus è un album sorprendente, che unisce all’etica dell’improvvisazione free il cantautorato più introspettivo. Prodotto da Peter Walsh (Heaven 17, Peter Gabriel, Simple Minds, Scott Walker) e registrato in cinque giorni in una località isolata del Galles, è sgorgato dall’uragano esistenziale in cui Daniel Blumberg si dibatteva all’epoca, dopo una dolorosa separazione e ricorrenti disagi psichici.
«Mi ha parlato di Gravner il mio amico regista Brady Corbet, a proposito dei processi di resettaggio e dell’indifferenza alle critiche». Come Gravner a un certo punto ha deciso di fare di testa sua, così Daniel Blumberg si è lasciato alle spalle i trascorsi giovanili e ha abbracciato un giro di musicisti che ruotano intorno al Café OTO di Londra, tempio dell’improvvisazione jazz e della musica sperimentale. Alla domanda: «quali sono state le influenze più importanti nella realizzazione di Minus?», risponde: «Il gruppo di artisti che ho conosciuto al Café OTO, i miei disegni e Fassbinder». Abbiamo parlato con Daniel Blumberg in occasione del tour italiano che stasera lo porta al Teatro Stradanova di Genova, domani all’Auditorium Spin Time Labs di Roma (Unplugged in Monti) e il 19 a Milano (Triennale, Fog Festival).
L’interazione tra musicisti nel disco è magnifica. Come avete raggiunto questa coesione, visto che non siete formalmente un gruppo?
Soprattutto suonando. Ci sediamo nella cucina di casa mia, beviamo un sacco di caffè e parliamo delle cose, ma non della musica. Io disegno molto con chiunque voglia farlo con me, lo trovo un buon modo di sincronizzarsi.
In futuro pensi di suonare ancora con i musicisti di Minus?
Certo e per diversi anni! Mi piace il modo in cui ognuno di loro si evolve, come suonano, i loro processi artistici. Sento che le possibilità sono infinite. Sono tutti solisti e a parte Jim White (batterista dei Dirty Three) li ho conosciuti tutti al Café OTO. Probabilmente ciò che hanno in comune è la pratica dell’improvvisazione. Il cuore di Minus è formato dal violinista Billy Steiger, Tom Wheatley al contrabbasso, Jim White e io. Tom Wheatley è uno dei miei collaboratori più stretti e probabilmente possiede la comprensione musicale più vasta e completa. È di gran lunga il contrabbassista più straordinario che abbia mai sentito e sa suonare qualsiasi strumento. In un brano che abbiamo scritto per Agnes Varda suona la fisarmonica! (Gleaning Truths, ndr). Jim White ha suonato in alcuni dei miei dischi preferiti, ma soprattutto ha un feeling e una voce assolutamente unici. In ogni disco a cui partecipa si capisce immediatamente che c’è lui alla batteria. Ute Kanngiesser è una violoncellista tedesca di formazione classica votata all’improvvisazione e alla sperimentazione. Terry Day ha suonato e studiato con Ian Dury prima dei Blockheads. Fa parte di The Alterations, gruppo importante per l’improvvisazione free (con David Toop, Peter Cusack e Steve Beresford, ndr). In Minus è stato importante perché ha conciliato gli estremi fra canzoni e musica improvvisata. Canta, suona gli aerofoni che costruisce lui stesso e suona le percussioni. Seymour Wright suona il sassofono, con lui ho un progetto che si chiama GUO e un disco in uscita a giugno, in trio con la batterista Crystabel Rylie.
La voce del violino è una presenza struggente e molto importante nelle canzoni.
Billy Steiger è veramente speciale, è uno dei miei eroi e sono fortunato a suonare con lui. Il suo violino è davvero una voce. Billy è un musicista profondamente emotivo: piange molto quando suona, soprattutto durante gli assolo.
«Minus» è completato da un libro di disegni, «Drawings Of Minus».
Sono una serie di piccoli disegni a matita e acquerello creati durante il periodo in cui è stato concepito il disco. Disegno tutti i giorni, è la mia abitudine più costante. Naturalmente c’è un forte legame tra la musica e i disegni: non credo si possa sperimentare il mio lavoro a pieno senza i disegni, che sono una parte fondamentale del mio processo creativo. Al momento sono esposti al Deichtorhallen di Amburgo, mentre il 29 marzo inaugura la mia prima personale alla Union Gallery di Londra.
Qual è la tua idea di canzone? Fai qualche esempio di canzoni perfette
Le mie canzoni sono composizioni con una base determinata di accordi o parole o di entrambi. Mi piacciono Heaven Help The Child e Sunshine di Mickey Newbury, I whooped batman’s ass di Wesley Willis.
Dal vivo potete suonare un pezzo anche due volte di seguito e non avete una set list.
La musica dal vivo deve essere dal vivo. Non so dire che cosa accadrà da un concerto all’altro. Suono con formazioni e combinazioni differenti. Adesso sono in trio con Billy e Tom. Lo spazio e il contesto sono sempre diversi e per questo la musica che produciamo non è mai uguale.
So che ti piace l’Italia. Che cosa ti attrae in particolare?
Amo Roma. Matteo Garrone mi ha aperto le porte della città. In questo momento Roma è casa mia.