L’epicentro del folk-rock cosmico è nel nord della Gran Bretagna, in un triangolo scaleno fra Glasgow, il Perthshire e il Lancashire, in cui vivono i quattro componenti dei Modern Studies. Tim Burgess dei Charlatans li ha definiti “il punto d’incontro tra i Fairport Convention e Jim O’Rourke in una sperduta stazione ferroviaria scozzese”. Nelle canzoni dei Modern Studies palpita un’eco del pop-folk dei Fairport con il basso in evidenza e di quelle affiliazioni prog care a O’Rourke. Il suo album The Visitor è uno dei dischi preferiti di Rob St John, che con Emily Scott costituisce la coppia autoriale del gruppo. Le canzoni di The Weight of the Sun, terzo album appena uscito per Fire Records, ricordano la Canterbury leggiadra dei Caravan, con una spolverata di impalpabile, ma molto chic, cipria new wave: una felice congiunzione astrale fra la malinconia dei Blue Nile, il glamour dei Roxy Music e il portamento dei China Crisis. In altre parole, una gran voglia di bellezza.
L’estetica ben definita nel suono dei Modern Studies richiama la lucidità penetrante della scrittura di Rebecca Solnit, da cui viene il titolo di uno degli episodi più felici dell’album, The Blue of Distance. Nel suo saggio Solnit parla dell’azzurro dell’orizzonte, il colore della luce che non riesce ad arrivare a noi perché si disperde nelle molecole d’aria. Un colore che esiste solo nella distanza e avvolge luoghi irraggiungibili, dove non siamo e non potremo mai essere, il che lo rende il colore della malinconia e del desiderio. La conversazione con Rob St John ed Emily Scott inizia dalla constatazione che un uomo che legge Rebecca Solnit è un brav’uomo. Come è arrivato all’autrice di Gli uomini mi spiegano le cose? “E’ una dei miei scrittori preferiti da quando ho letto Storia del Camminare. Scrive meravigliosamente della natura e del mondo che ci circonda. Cercavo una frase per dare forma a The Blue of Distance e mi è venuto in mente il suo saggio sul colore azzurro, la luce e il paesaggio. In questo disco Emily e io abbiamo usato la metafora della luce mutevole, dei movimenti sottili e impercettibili delle cose. A volte fa bene pensare insieme a poeti e scrittori mentre scrivi i testi delle canzoni. Per questo album ho letto Solnit insieme a René Daumal e Seamus Heaney”. Quali sono le ispirazioni letterarie di Emily? “Io vivo un po’ nel passato e sicuramente leggo per evadere. Mi piace la sensazione di trovarmi in un tempo diverso, per cui leggo molti romanzi classici: Graham Greene, George Eliot, Virginia Woolf e John Banville che prosegue quella tradizione. Prima leggevo molta poesia, ultimamente non più, ma considero Seamus Heaney un’influenza: è schietto ed elementare, quando leggo le sue poesie sento la sua voce. Al momento sto leggendo memoir di musicisti: Patti Smith scrive splendidamente”.
In The Weight of The Sun c’è una confluenza di entusiasmo ed eleganza che ricorda i suoni migliori della new wave anni ‘80. È questa la musica della vostra formazione? “Io sono cresciuto con la collezione di dischi dei miei genitori: mia madre ascoltava folk britannico e mio padre psych e prog. Forse le due cose si sovrappongono nei Modern Studies! Al momento ascolto molta musica lenta, drone music – Ellen Arkbro, Kali Malone, Joanna Brouk – insieme ai miei preferiti di sempre: Alice Coltrane, Acetone, Laurie Anderson”. “Sono contenta che si avverta l’influenza degli anni 80, è sempre presente per me! – dice Emily – Sono cresciuta in una casa con due genitori scienziati, indossavamo vestiti fatti in casa e ascoltavamo jazz anni ‘70: Dave Brubeck, George Shearing, Charles Mingus. Per me e mio fratello, David Bowie, Roxy Music, Kate Bush, Grace Jones e tutto quel pop elegante ed entusiasmante era molto attraente”.
Il luogo dove vivete rispecchia la vostra musica? “Viviamo in luoghi diversi della Gran Bretagna settentrionale. Io nel Lancashire rurale, un’ora a nord di Manchester, Emily e Joe a Glasgow e Pete nel Perthshire, nella campagna scozzese. C’è un rapporto 50-50 tra campagna e città. La geografia ci costringe a lavorare molto da remoto, a generare idee e approcci a partire dagli scheletri di canzoni che Emily e io abbozziamo, con settimane e weekend intensi di lavoro nello studio di Pete a Pumpkinfield. Mi chiedo se il fatto che Emily e io cantiamo insieme non renda le canzoni una conversazione su temi che abbracciano la città e la campagna, e di conseguenza i nostri paesaggi interiori ed esteriori”. “Io penso e scrivo per immagini – dice Emily – tutto quello che entra nel mio campo visivo diventa materiale con cui lavorare. Inevitabilmente amici, parenti e totali sconosciuti diventano vittime della mia penna. La protagonista di She, ad esempio, è una versione più forte e tosta di me stessa, nata da un sogno che ho fatto su un supereroe. Il giorno dopo ho inciso un demo al pianoforte con la parte portante nella mano sinistra, direttamente dalla colonna sonora del sogno, genere serie tv degli anni ‘60 come The Man from U.N.C.L.E.”.
Il confinamento e la distanza imposta dal lockdown intaccano il vostro senso di identità personale? “Vivendo in città il senso di confinamento è sempre presente – dice Emily – Sono fortunata a potermi rifugiare nei micropaesaggi del mio minuscolo giardino e nelle superfici lunari del mio letto. Insegno molto online in questo periodo, per cui la mia identità domestica è completamente cambiata, ma per noi in questo momento la vera separazione è quella dai nostri fan. Dovremmo essere in tour con il nuovo album, è strano doversi rimettere a scrivere senza aver goduto di quella fase del ciclo creativo”. “Io vivo in un piccolo villaggio in una valle isolata e negli ultimi anni ho riflettuto molto su come vivere e lavorare con il piccolo e il locale. Gran parte di quel processo riguarda come rientrare in contatto con questi luoghi. In questo momento sono a casa e devo fare lezione a mia figlia, perciò dedico pochissimo tempo al mio lavoro creativo. Ma vedere il mondo con gli occhi di una bambina di cinque anni è meraviglioso, fa parte di quello stesso processo. Spero che diventeremo più gentili e pazienti e che avremo un atteggiamento più comunitario come conseguenza di questi tempi strani”.
(pubblicato su Il Manifesto del 24 maggio 2020)