Emma Swift è in lockdown in casa a East Nashville con i suoi gatti e il suo partner dall’inizio di marzo. La cantautrice, australiana di nascita, si è trasferita in Tennessee nel 2013. «La situazione sta diventando surreale. I giorni e le notti sono lunghi, abbiamo perso la capacità di misurare il tempo. Ormai non so più che giorno della settimana è. Non esco quasi mai, solo per controllare la cassetta della posta. Il mondo esterno oltre il nostro marciapiede fa paura, sembra inconoscibile. Nonostante gli avvertimenti, molte persone in Tennessee non indossano la mascherina. La gente va ancora a fare festa nei bar. Il governo ha fatto molto poco per impedire agli stupidi di continuare a comportarsi come tali. Sappiamo tutti che il presidente è un furfante, ma le conseguenze della sua mancanza di leadership sono disastrose. È spaventoso, crudele e imbarazzante. Io sono estremamente privilegiata perché posso lavorare da casa e resisto buttandomi a capofitto nella musica: scrivo e registro nuovo materiale tutti i giorni, faccio collage, rivedo poesie, cerco di essere più creativa possibile».
In questo scenario desolante si è aperto uno squarcio il 17 aprile, quando Bob Dylan ha fatto uscire I Contain Multitudes. Emma Swift era chiusa in casa già da otto settimane. «È un brano magnifico e straziante, una lettera d’amore alle parole, all’arte e alla musica, a tutto ciò che abbiamo perso e che possiamo ritrovare. Quella canzone è diventata la mia ossessione, un mantra, una preghiera». Se la voce di Dylan è sorprendentemente calda e accogliente, quella di Emma Swift ti entra dentro, pura, cristallina, dolce e compassionevole. Le due versioni sono così complementari che potrebbero essere il lato A e B dello stesso 45 giri.
L’instant cover ha completato un intero disco di riletture dylaniane iniziato nel 2017 e portato a termine via email con il produttore Pat Sansone la scorsa primavera. Con un titolo che sovverte le implicazioni drammatiche dell’album di Dylan del 1975, Blonde on the Tracks esce il 14 agosto e comprende otto brani: oltre alla whitmaniana I Contain Multitudes da Rough and Rowdy Ways, due canzoni da Blood on the Tracks (Simple Twist of Fate e You’re a Big Girl Now), una da Highway 61 Revisited (Queen Jane Approximately), una da New Morning (The Man in Me), una da Planet Waves (Going, Going, Gone) e due da Blonde on Blonde, One of Us Must Know (Sooner or Later) e quella da cui è partito il progetto.
«Quando ho iniziato a lavorare all’album – dice Emma Swift – l’unica canzone che sapevo di voler registrare era Sad Eyed Lady of the Lowlands. Sono anni che quel brano mi ipnotizza. Ho scelto le altre canzoni riascoltando i dischi di Dylan e prendendo quelle che per me avevano una risonanza emotiva e spirituale. Ho fatto quello che mi sembrava funzionare per me, ho seguito l’istinto per la scelta delle canzoni, la strumentazione e le persone con cui volevo lavorare».
La produzione di Pat Sansone dei Wilco è molto misurata e leggera, sostiene la voce di Emma Swift con la partecipazione di alcuni musicisti di Nashville (Thayer Serrano alla chitarra pedal steel, Jon Estes al basso, Jon Radford alla batteria) e un dylanologo d’eccezione alla chitarra acustica, Robyn Hitchcock.
«L’idea del disco è nata durante un lungo periodo di depressione, di quelli in cui è difficile alzarsi dal letto, vestirsi e presentarsi al mondo come un essere umano funzionante», dice Swift. «Non sono mai stata molto prolifica, ma in quel periodo non avevo più le parole. Ero triste, apatica e disperata, così ho cominciato a cantare le canzoni di Bob Dylan per avere qualcosa da fare quando mi svegliavo». La scoperta di Dylan non è avvenuta cronologicamente con i primi dischi folk: «Sono nata negli anni ‘80 e all’epoca i Traveling Wilburys passavano spesso alla radio, probabilmente è stato così che l’ho conosciuto. Ho imparato tanto da cantanti come Joni Mitchell e Sandy Denny, mentre Dylan mi ha insegnato molto sul mestiere e sull’arte. Sono un’eterna allieva, la mia collezione di dischi è la mia biblioteca che consulto incessantemente per trarne conforto, piacere e istruzione». Alla fine le canzoni di Dylan hanno curato la depressione? «Al momento non sono depressa, ma non so se esiste una cura a lungo termine, almeno non per me. Sono vent’anni che entro ed esco da periodi di depressione e ogni volta trovo approcci nuovi per riconquistare un senso di equilibrio, ritrovare uno scopo per vivere e riatterrare nel mondo. Lavorare a Blonde on the Tracks sicuramente mi ha aiutato in un periodo buio, Dylan è stato una specie di Prozac sonoro». Per citare un altro album del Maestro, che cosa «si è portata a casa» da questa esperienza? «Che con un po’ di determinazione si arriva lontano», risponde.
La determinazione è un’arma cruciale in questa strana epoca senza musica dal vivo. Come molti suoi colleghi, Emma Swift vive grazie ai tour e alle circa duecento date all’anno. In questi mesi di clausura, con Robyn Hitchcock ha tenuto concerti in live streaming dal salotto di casa due volte a settimana, in orari diversi per i fan americani e quelli europei. Oltre che per il sostentamento, è servito anche per ritrovare una scansione del tempo più normale. Chi la segue su Twitter, inoltre, sa che preferisce avere dei principi morali piuttosto che la sua foto in una playlist. Per questo, seguendo l’esempio di Gillian Welch, Jen Cloher e Courtney Barnett, ha deciso di creare la sua etichetta (Tiny Ghosts) e di tenere Blonde on the Tracks fuori dalle maggiori piattaforme di streaming. «I loro criteri di pagamento si basano sullo sfruttamento degli artisti. Dato che non posso più suonare dal vivo a causa del COVID-19, non vedo grandi incentivi nel condividere la mia musica online praticamente gratis. Questa pandemia ha fatto emergere quanto malsano è l’intero sistema. Nelle prime due settimane di prevendita, ho venduto 400 copie. Per avere la stessa somma da Spotify, mi servirebbero due milioni di streaming. Il disco è disponibile in cd, vinile, cassetta e download digitale sulla mia etichetta Tiny Ghost Records e si può ascoltare su Bandcamp, che sta facendo un lavoro splendido nel sostenere la musica e l’arte di questi tempi. Ovviamente incontro delle difficoltà, secondo alcuni sto mettendo a rischio la mia carriera perché il disco non è disponibile ovunque. Ma io mi trovo bene ai margini del sistema: qui sento di essere nel posto giusto». (pubblicato su Il Manifesto del 14 agosto 2020)
Se ti piace, leggi anche Shirley Collins, Professione Folksinger