«Mi mancano lui e il suo cane». Si chiude cosi il blurb di Keith Richards per The Power of the Heart: A Tribute to Lou Reed, l’album che Light in the Attic ha pubblicato in occasione del Record Store Day 2024. La sua versione di I’m Waiting for the Man in apertura è sfavillante. Keef è proprio in gran forma; viene da chiedersi come faccia, ma certe domande impertinenti è meglio lasciarle senza risposta. La canzone gli calza come un guanto e lui la interpreta con rispetto e convinzione, da pari di Reed, in un eterno 1967.
In Lou Reed, Il Re di New York, la biografia definitiva uscita lo scorso ottobre in occasione del decennale dalla morte, Will Hermes scrive: «Molte delle sue canzoni più belle incarnano una prospettiva femminile o fluida, e non è un caso che parecchie delle cover migliori portino la firma di donne, persone queer e artisti non binari». Oltre a Nico, con o senza i Velvet, Hermes ricorda Pale Blue Eyes cantata da Patti Smith, Marisa Monte, Lucinda Williams e Michael Stipe, o Candy Says fatta da Anohni, Shirley Manson, Thalia Zadek.
The Power of the Heart conferma questa tesi: le francesi Automatic rifanno New Sensations dall’album omonimo del 1984 (quello di I love you, Suzanne, il tentativo di Reed di accattivarsi MTV); Rosanne Cash si prende a pieno titolo Magician da Magic and Loss. Nel 1992, quando uscì il disco, Cash assistette a un concerto al Radio City e per la commozione scoppiò a piangere. Poi lei e Lou Reed si incrociarono sul palco del Madison Square Garden per l’omaggio a Bob Dylan e in quell’occasione lui le chiese il numero di telefono. Il tentativo di rimorchio non si concretizzò, ma Rosanne rende giustizia ai versi di Magician, una canzone dedicata agli amici di Reed morti di Aids che diventa una premonizione della sua stessa fine: «Liberami da questo corpo, da questo ingombro che mi arranca dietro. Lascia che lo abbandoni lontano, sono stufo di guardarmi, odio questo corpo dolente che la malattia ha lentamente consumato. Mago, prendi il mio spirito, dentro sono giovane e vivo».
Rickie Lee Jones ristruttura Walk on the Wild Side: la sua versione «si è evoluta nell’arco di una notte, una donna anziana seduta a un pianoforte scordato. Ho cambiato gli accordi, ho aggiunto un paio di battute, enfatizzando la conclusione cupa di ogni strofa. Il contrabbasso, lo strumento più riconoscibile nell’originale, è anche l’unico strumento melodico, perciò l’ho eliminato. Mi sono appellata allo spirito di James Booker e l’ho trasposta nel Quartiere Francese di New Orleans».
C’è la splendida versione di Coney Island Baby di Mary Gauthier, una musicista dalla vita perfino più travagliata di Lou Reed che si è conquistata sul campo i titoli per cantarne i versi: «Lou era un ruvido poeta urbano dotato di una vulnerabilità impressionante e di un’onestà brutale: vedeva e descriveva il mondo così com’è. Pura emozione. Pura realtà e una sconfinata compassione». Gauthier rivendica l’appartenenza a quella schiera infinita di sognatori provenienti da piccole città di provincia che hanno seguito la voce di Lou Reed per trovare la propria.
Reed è stato la prima influenza musicale di Angel Olsen, la sua introduzione al punk, e la versione di I can’t stand it con Maxim Ludwig è coerente con le premesse. Ci sono Joan Jett (I’m so free) e Lucinda Williams (Legendary Hearts), e poi Rufus Wainwright con Perfect Day, l’anziano bluesman Bobby Rush (Sally can’t dance), gli Afghan Whigs (I love you, Suzanne) e il giovane californiano Brogan Bentley. Un omaggio che abbraccia le generazioni e i generi, e rinsalda lo status inscalfibile di Reed nella storia della popular music.
Nessuna sovrapposizione nell’omaggio italiano uscito negli stessi giorni. The Leaping Fish Trio sono Paolo Botti (viola, violino, violoncello, dobro, mandolino, wurlitzer), Enrico Terragnoli (chitarra elettrica, podophono, wurlitzer, basso, clavicembalo) e Zeno De Rossi (batteria e waterphone). L’album si intitola Trees, The music of Lou Reed, esce per Fonterossa, l’etichetta della contrabbassista Silvia Bolognesi, ed è dedicato a Hal Willner, il produttore amico di Reed morto di Covid nel 2020.
Il progetto è nato per un singolare episodio di sincronicità nel lontano 2013, anno della morte di Lou Reed. «Controllando sul calendario», dice Zeno De Rossi, «vedo che il 26 ottobre 2013 suonammo in un locale di Verona, e durante il soundcheck iniziammo a suonare All Tomorrow’s Parties, che non avevamo mai fatto prima in trio. Ci piacque così tanto che decidemmo di suonarla quella sera stessa al concerto. La mattina dopo apprendemmo la notizia che Lou aveva lasciato questo pianeta.
Parecchio tempo dopo, durante la pandemia, Paolo ci inviò una sua versione del brano e ci chiese di sovraincidere i nostri strumenti. In quel momento era l’unico modo per fare qualcosa insieme. Nello stesso periodo io stavo approfondendo l’ascolto di alcuni artisti, tra cui Lou Reed, e proposi di continuare l’esperimento lavorando su altri pezzi. Ne registrammo due o tre e a quel punto decidemmo di lavorare ad un intero album dedicato a lui».
La tracklist non è scontata: Call on me da The Raven (2003),
Ecstasy, la title track dell’album del 2000,
Riptide e NYC Man da Set the twilight (1996),
The Bed da Berlin (1973),
New York Telephone Conversation da Transformer (1972) e quattro brani dei Velvet Underground: Jesus, All Tomorrow’s Parties, Venus in Furs, Candy says.
«Paolo ed Enrico sono più legati al primo periodo di Lou e quindi hanno proposto i brani dei Velvet oltre a New York Telephone Conversation», commenta De Rossi. «Io ho scelto i brani più recenti, essendo un fan dei dischi a cui appartengono, oltre a Jesus che ricordavo in una bellissima versione di David Sanborn in Another Hand del 1991, uno dei miei dischi preferiti, prodotto da Hal Willner, uno dei miei grandi eroi. Abbiamo inserito anche il tema di Lonely Woman di Ornette Coleman visto che era il pezzo preferito di Reed».
Nel disco ci sono alcuni ospiti: Alessandro Stefana (lap steel in Call on Me) e le voci di Bobo Rondelli e Claudia Bidoli rispettivamente in Venus in Furs e New York Telephone Conversation. «Claudia Bidoli è una bravissima cantante veronese con cui avevamo già collaborato nella versione del pezzo fatta durante la pandemia, così l’abbiamo invitata anche nel disco. Mi piaceva l’idea di una voce maschile in un altro brano e la scelta è caduta su Bobo perché la sua interpretazione di Perfect Day ci aveva molto colpiti. Abbiamo voluto due cammei vocali nel disco, ma abbiamo preferito mantenere la dimensione strumentale negli altri brani per non snaturare il suono del gruppo».
Il titolo, Trees, viene dalla lettera scritta da Laurie Anderson in ricordo di Lou: «Gli alberi sono probabilmente l’ultima cosa che ha visto prima di morire», dice De Rossi, «visto che se n’è andato nel giardino di casa sua mentre eseguiva la forma 21 del Tai Chi, da cui il titolo dell’improvvisazione che apre la nostra versione di The Bed. Inoltre l’albero è una metafora della vita stessa con la sua struttura ancorata alla terra ma protesa verso lo spazio».