Arriviamo al Bosco Dipinto morti di fame, dopo esserci persi. Abbiamo saltato l’uscita dell’autostrada per Deba, volevamo fare un tratto di costa per poi rientrare, invece siamo andati oltre, persi in altri giochi, e abbiamo improvvisato per ritrovare la strada lungo il tragitto. Siamo finiti tra le colline più incantevoli, mille sfumature di verde a perdita d’occhio, un tornante dopo l’altro, in mezzo agli alberi e ai campi, e alle sommità rotonde dei piccoli monti, nella pace e nella lentezza. Siamo passati per il paese di Simon Bolivar, e abbiamo proseguito. Poi siamo arrivati all’ingresso del bosco, nella riserva naturale di Urdaibai, ma prima abbiamo dovuto mangiare. Guindillas fritas, tortilla e jamon, una bottiglia di sidra, caffè e due biscottini friabili. Ancora una volta mi sono sentita straniera per come si posano su di me i loro sguardi, intessuti di una impalpabile diffidenza che cerco di farmi scivolare addosso.
Ci incamminiamo verso il bosco nel pieno di un pomeriggio torrido. Non mi aspettavo i due chilometri e mezzo in leggera salita; chiacchieriamo ansimando nel silenzio e nel profumo di eucalipto, felci, legno, erba. Finalmente arriviamo e il bosco ci dà il benvenuto con un bacio. Labbra rosso fiammante sembrano avvicinarsi se cambiamo posizione di qualche passo. Tutti gli alberi si animano in uno spazio magico, in cui le immagini appaiono e scompaiono, i pini-totem giocano con noi, ma non è una caccia al tesoro, sospingono i visitatori verso la ricerca con ammiccamenti seducenti. Ci sono tante immagini e figure quante sono le persone che le osservano, cambiano, non perdurano nonostante l’apparenza, transitano, emergono dall’inconscio di chi guarda. Sono molte di più di quelle disegnate da Agustin Ibarrola.
Il bosco è uno scenario chiave nella cultura basca, ma in quelli di Atxaga non vorrei perdermi. Dopo una lunga riflessione, Ibarrola espose le sue tele su uno sfondo tridimensionale e simbolico, un bosco di totem. El Bosque de Oma è Land Art, utilizza il paesaggio come quadro, supporto e materiale per l’artista. Non è arte di piccole dimensioni, non è carina, addomesticata. È arte pubblica fatta di materiali robusti sebbene deteriorabili, esposti alle intemperie. I contenuti rappresentano una cultura e sentimenti collettivi, non intimi e personali. Anche un bacio qui è un atto condiviso, romantico e primordiale.
Ibarrola iniziò a dipingere nel 1982, riuscendo a immortalare la luce che entrò nel bosco e lì si fermò (la luz que entró en el bosque y allí se quedó), gli occhi degli antenati (los ojos de nuestros antepasados), il fulmine che rimase intrappolato fra i pini (el rayo que quedó atrapado entre los pinos), un’infinità di forme e colori che nasconde il bosco (un sinfín de formas y colores que esconde el bosque). È un luogo incantato, fuori dal tempo, non ci sono mostri, nessuna presenza inquietante, solo arcobaleni che si moltiplicano da un tronco all’altro, e forme che cambiano, si allungano e si contraggono in modo elastico, e occhi che guardano e proteggono, quelli degli artisti ancestrali che dipinsero Las Cuevas de Santimamiñe.
Qui non può succedermi niente di male.
(pubblicato nel settembre 2012 su www.paoladeangelis.tumblr.com)
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